La Corte di Cassazione ha deciso: “Il Tribunale di sorveglianza riesamini la richiesta scarcerazione per Totò RIINA”.
Il “diritto a morire dignitosamente” va assicurato ad ogni detenuto.
La storia criminale che ha caratterizzato l’intero percorso di vita del simbolo di “Cosa nostra” non ammette eccezioni e anche per il quasi novantenne, già capo dell’ala più violenta della mafia siciliana che si ricordi, la pena potrà essere differita, rinviata a “babbo morto”, insomma, evitata all’italiana maniera.
La prima sezione penale della Cassazione per la prima volta ha accolto il ricorso del difensore di Totò Riina, che chiede il differimento della pena o, in subordine, la detenzione domiciliare. La richiesta (si legge nella sentenza 27.766, relativa all’udienza del 22 marzo scorso) era stata respinta lo scorso anno dal tribunale di sorveglianza di Bologna, che però, secondo la Cassazione, nel motivare il diniego aveva omesso “di considerare il complessivo stato morboso del detenuto e le sue condizioni generali di scadimento fisico”.
Il problema è quello di sempre che gli italiani conoscono bene: la certezza della pena che fa acqua da tutte le parti.
Senza nulla dire circa l’altissima pericolosità e il grande spessore criminale, di cui peraltro lo stesso signor RINA non ha mai dato prova di pentimento, la Corte dice solo che tutti, compreso il nostro detenuto eccellente, hanno diritto ad una morte dignitosa.
Suggerimento a costo zero, certamente non richiesto: “ricoveriamolo in un ospedale militare”, sottoponendolo alle stesse restrizioni di un detenuto ristretto al 41 bis del carcere duro.
La mafia e l’illegalità si combatte anche e soprattutto con il rispetto delle regole e non certamente con le chiacchiere che sovente, ahimè, siamo abituati a fare e commentare.
I nostri morti, tanti, troppi, quelli che ci hanno difeso dall’agire criminale di queste bestie, dobbiamo ricordarli con una lotta senza tentennamenti e il rispetto delle regole rappresenta il primo passo per onorare la loro memoria.
Povera Italia!