Una cosa è certa. Dopo un rally che ha lasciato senza parole gli operatori di mercato, l’euforia su MPS è passata. Si tratta in parte di una reazione fisiologica, che riflette il detto “Buy the Rumor, Sell The News”, secondo cui i titoli tendono a schizzare verso l’alto sulla scia di indiscrezioni, per poi divenire preda dei realizzi, una volta che l’annuncio tanto atteso è arrivato.
Nel caso di Mps si può parlare di diversi annunci, arrivati con la presentazione del piano industriale e con le parole dell’AD Marco Morelli. Annunci che parlano di forti tagli e chiusura di filiali e che hanno reso comunque più certi i tempi dell’aumento di capitale.
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Il titolo Mps ha iniziato a perdere quota con l’emergere dei nuovi dettagli e ha concluso la giornata di ieri in calo del 15%. Nella sessione odierna, Mps inizialmente non è riuscita a fare prezzo, ed è poi entrata nelle contrattazioni dell’indice Ftse Mib per essere successivamente sospesa per eccesso di ribasso.
Il titolo oggi è affondato a Piazza Affari fino a -14% e, dopo aver testato un minimo intraday a 0,248 euro, e in seguito a due sospensioni per eccesso di ribasso, ha ridotto progressivamente le perdite.
I volumi di scambio sono rimasti molto elevati, alle 11 circa ora italiana sono risultati pari a 120 milioni di pezzi, il 4% del capitale.
Ma la flessione o comunque la fine del rally si spiega solo con le prese di beneficio?
In realtà il verdetto degli analisti non è positivo. Tra questi, si mette in evidenza il giudizio di Fidentiis, secondo cui il titolo, alle valutazioni attuali, esprime il valore della quota che verrà assegnata nella bad bank (“nella speranza di recuperare 1,6 miliardi” dai crediti in sofferenza) e “una non prevedibile quota della ‘nuova’ Mps”, riguardo a cui “prevediamo una diluizione massiccia”.
Secondo Fidentiis, la valutazione delle azioni Mps “è onestamente impossibile”, in un contesto in cui gli attuali azionisti della banca “sono stati messi in un angolo” , rispetto alla possibilità di partecipare al rilancio della “nuova” Mps.
Insomma, si parla di un titolo non valutabile, che al momento – secondo gli esperti di Fidentiis – è scambiato a un multiplo di 0,6 volte il patrimonio netto tangibile al 2019, che “è pari a circa il doppio della media delle banche italiane”. Inoltre, a fronte di un obiettivo di un ritorno sul capitale dell’11% nel 2019 che “potrebbe sembrare succoso”, “il problema qui è un altro”. Ovvero, che “gli attuali azionisti non sono posizionati per sfruttare appieno il rilancio della banca, qualcosa che sembra destinato solo ai nuovi soci”.
Fidentiis, che mantiene un giudizio sell, ritiene che la lacuna principale del piano di rilancio sia “la completa mancanza di dettagli sulla provenienza delle risorse per coprire il deficit di capitale”.
Ma a essere pessimisti non sono solo gli esperti. Anche il Wall Street Journal e il Financial Times non danno fiducia al piano industriale.
Per il Wall Street Journal:
“gli investitori che aderiscono al salvataggio della banca più problematica dell’Italia non emergeranno il giorno dopo l’accordo con un istituto del tutto riparato”. Piuttosto, saranno alle prese con un istituto che, se le cose andranno bene, potrebbe “iniziare a erogare dividendi tra 4/5 anni”. Insomma, per il quotidiano Usa “Mps non è attraente”, a meno che gli investitori non decidano di acquistare l’azione a basso prezzo, per poi rivenderla nel caso di un’acquisizione.
I giudizi arrivano nel giorno in cui il numero uno dell’Acri e della fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, tra i padri fondatori del fondo Atlante, esprime tutta la sua delusione per la gestione del veicolo che avrebbe dovuto reggere sulle sue spalle i problemi delle banche italiane, contribuendo al risanamento degli istituti.
Guzzetti addirittura ammette che “sarebbe stato meglio se non avessi partecipato”, e se la prende con i francesi.
I francesi sono Credit Agricole e BNP Paribas.
Così Guzzetti, sulle due banche, a margine della presentazione del report sul risparmio italiano che l’Acri ha stilato insieme a Ipsos:
“Ho partecipato alle riunioni ma purtroppo retrospettivamente avrei fatto meglio a non andare. Ho costretto amici e colleghi a mettere 536 milioni. Erano chiari obiettivo e finalità ed era chiaro chi doveva mettere soldi, le banche straniere non li hanno messi“. “Sto ai fatti e i soldi che dovevano arrivare in elenchi che avevamo compilato diligentemente ai massimi livelli non sono arrivati. Chi si è comportata bene è stata Allianz“.
Da segnalare, come ricorda Reuters, che il fondo Atlante ha avuto una dotazione di poco superiore ai 4 miliardi. Tra i soggetti che hanno contribuito le fondazioni hanno investito 500 milioni, Intesa Sanpaolo e UniCredit 850 milioni a testa. Contributi minori sono arrivati da altre banche e compagnie assicurative.
Il fondo è intervenuto nei salvataggi di Popolare Vicenza e Veneto Banca. A tal proposito, Guzzetti ha ammesso:
“Mi preoccupo del Veneto, Penati ha messo 2 miliardi, non so se bastano”. Il presidente dell’Acri non se la sente tuttavia di definire il fondo Atlante un fallimento. Il fondo, a suo avviso, ha impedito che la situazione di due banche “ad altissimo rischio” (ovvero Pop Vicenza e Veneto Banca) trascinasse “nel suo fallimento l’intero sistema bancario italiano”, e si sa che”se falliscono le banche il sistema va in crisi, le famiglie e l’economia reale“.
Tuttavia la sensazione, in tutto questo, è che il fondo Atlante sembra essere l’ennesimo progetto italiano rimasto incompiuto, dopo aver ricevuto lodi ed endorsement al momento del suo lancio.