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Monte dei Paschi – Unicredit: alcuni conti prima delle nozze

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Monte dei Paschi – Unicredit: alcuni conti prima delle nozze

di Ruggero Bertelli

Lo story telling dell’operazione UNICREDIT – Monte dei Paschi si concentra su alcune vicende note e fastidiose che hanno interessato gli ultimi 10 anni della “The world’s oldest bank”, come scriveva The Economist in un articolo del 13 ottobre 2012, accompagnato da una splendida foto del Palio di Siena.

Che si tratti o meno della banca più antica del mondo, non stiamo parlando di una banca “banale”, nel bene e nel male. Che fosse un monte ripidissimo da scalare era noto già allora, in un contesto non facile per tutte le banche italiane, ad onor del vero.

In effetti, però, la situazione appare del tutto specifica. Si pensi che tra il 31/12/2006 e il 31/12/2009 il tiolo MPS aveva perso il 74% del suo valore; quello UNICREDIT l’81%; il titolo INTESA il 64%.
Invece, tra il 31/12/2011 e il 31/12/2014 MPS ha perso il 70%; UNICREDIT ha guadagnato il 28% e INTESA ha guadagnato l’81% (fonte dati Refinitiv Eikon).

Diamo allora un’occhiata ai bilanci individuali del 2020 di UNICREDIT e Banca Monte dei paschi di Siena. Ci focalizziamo cioè sulla parte – se così vogliamo dire – “industriale”.

MPS ha poco patrimonio, non ci sono dubbi. La “leva finanziaria” (ossia il Totale attivo diviso il patrimonio) è 33,5 volte (contro il 9,22 di UNICREDIT). Come è noto, il patrimonio è uno dei principali fattori produttivi (e reputazionali) per una banca e questo genera effetti su tutta l’operatività, con particolare riguardo ai crediti verso i clienti, ma non solo.
MPS registra una consistente perdita di esercizio: 1,8 miliardi (ho controllato anche la “redditività complessiva” ma cambia poco).

UNICREDIT, anche, per la verità registra una bella perdita: 2,7 miliardi. Considerando il numero di filiali (1.418 MPS e 2.560 UNICREDIT) abbiamo una perdita per filiale pari, rispettivamente, a 1,27 e a 1,05 milioni a filiale (circa).

L’ultima linea del conto economico è condizionata però da molti elementi, tra i quali la voce “Rettifiche di valore su crediti”: 2,7 miliardi per UNICREDIT (tutta la perdita, quindi); 672 milioni per MPS (1/3 della perdita).

A ben vedere, nel bilancio di UNICREDIT ci sono ben 3,2 miliardi di dividendi dalla partecipata tedesca UNICREDIT AG (la HypoVereinsbank). Attenzione, questi, a livello di utile complessivo, sono (più che) compensati dalla svalutazione sulla partecipazione (pari a 3,9 miliardi).

Ma un effetto c’è: il valore del CIR (cost income ratio). Se togliamo i dividendi di cui parliamo (e quindi riduciamo il margine di intermediazione) UNICREDIT presenta un CIR che passa dal 59% circa (calcolato sui dati di bilancio grezzi) all’89%.

MPS presenta lo stesso indice a valori purtroppo molto penalizzanti: 134% (ossia i costi operativi sono 1,34 volte il margine di intermediazione). Un problema “industriale” di non poco momento.

Approfondiamo questo aspetto e semplifichiamolo, perché anche il margine di intermediazione può essere condizionato da scelte di bilancio (utili o perdite da negoziazione titoli, classificazione delle attività finanziarie). Ci concentriamo dunque su due voci abbastanza “pulite”: margine di interesse e commissioni nette. Il primo è la banale differenza tra interessi attivi e passivi (non tanto banale oggi con i tassi negativi, ma lasciamo correre); le seconde sono i ricavi da servizi, essenzialmente di gestione del risparmio (intesa in senso lato) e di gestione dei servizi di pagamento.

Per MPS la somma delle due voci (1,03 e 1,3 miliardi) non riesce a coprire i costi operativi (3,3 miliardi). In UNICREDIT (3,3 e 3,5 miliardi) sì, in quanto i costi operativi ammontano a 6,7 miliardi. Ricordiamo che i costi operativi comprendono sia i costi del personale che tutti gli altri costi amministrativi.

Considerando il numero di dipendenti (33.842 quelli di UNICREDIT e 19.649 quelli di MPS) possiamo dire che un dipendente MPS ha generato 120.000 euro di “margini” (di interesse e commissionali) mentre un dipendente UNICREDIT 203.000. Tuttavia, un dipendente UNICREDIT costa 96.000 euro; un dipendente MPS ne costa 67.000 (sempre su dati di bilancio, media 2020 e 2019).

Se ci concentriamo sulle sole spese per il personale (3.937 milioni per UNICREDIT e 1.396 milioni per MPS) il rapporto “margini” (così come li abbiamo definiti) e costi del personale è pari, rispettivamente a 1,74 e 1,68. Non sono valori molto lontani.

Troppo personale in MPS dunque? Un po’ sì. Secondo questo ultimo indicatore (che tiene conto però dei diversi costi unitari) si tratterebbe di un centinaio di persone. Se invece ragioniamo utilizzando i margini per dipendente, allineandoci al dato UNICREDIT, servirebbero solo 11.576 dipendenti (rispetto ai 19.649). Un consistente “esubero” di 8.000 persone.

Non voglio fare il Garrone del libro Cuore, ma 120.000 euro di margini per dipendente non sono pochi, se teniamo conto del contesto reputazionale nel quale sono stati generati in MPS. Chi ha avuto modo di intrattenere rapporti con donne e uomini MPS in questi anni recenti si è reso conto del loro senso di appartenenza e dell’orgoglio, della loro competenza e dell’esperienza (unica, purtroppo, per certi versi) e del rispetto per il denaro pubblico maturato dopo l’intervento dello Stato.

MPS è una banca che ha subito un terribile stress. I dipendenti del Monte hanno dimostrato di essere “anti-fragili” e hanno saputo conferire anti-fragilità al marchio. In un contesto reputazionale diverso possono esprimere una forza non comune e avere molto da insegnare.

Attorno ad MPS, alla sua esperienza, al suo terribile vissuto, si potrebbe sviluppare un progetto di “finanza buona” … gli errori si pagano, ma grazie agli errori si cresce.