I due uomini più ricchi al mondo, Jeff Bezos e Elon Musk, ma anche l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg sarebbero riusciti a non pagare alcuna tassa federale Usa sul reddito per alcuni anni. E, in generale, a pagare molto poco in rapporto alla crescita dei rispettivi patrimoni.
E’ quanto ha reso noto ProPublica, una testata specializzata in giornalismo d’inchiesta, che sarebbe venuta in possesso delle dichiarazioni fiscali di alcune fra le personalità più facoltose degli Stati Uniti e che coprirebbero un periodo di tempo di oltre 15 anni.
Elon Musk, ad esempio, non avrebbe pagato alcuna tassa federale sul reddito nel 2018. Nel 2015 il suo pagamento è stato di 68mila dollari, nel 2017 di 65mila. Fra il 2014 e il 2018 l’aliquota pagata di fatto è stata appena del 3,27%.
Il fondatore di Amazon, Jeff Bezos, invece, avrebbe interamente evitato l’imposta federale sul reddito nel 2007, nonostante un reddito dichiarato da 46 milioni di dollari. Bezos avrebbe per anni “compensato ogni centesimo guadagnato con perdite da investimenti collaterali e varie detrazioni, come le spese per interessi sui debiti e la vaga categoria onnicomprensiva di ‘altre spese'”, ha affermato ProPublica. Fra il 2006 e il 2018 il patrimonio di Bezos è cresciuto di 127 miliardi di dollari, anche se nel periodo è stato dichiarato un ben più contenuto reddito di 6,5 miliardi. Su questi redditi, Bezos avrebbe pagato 1,4 miliardi di dollari in imposte, anche se ciò corrisponde all’1,1% dell’incremento del suo patrimonio.
L’analisi non ha risparmiato anche il celebre investitore Warren Buffett, il quale avrebbe pagato un’aliquota effettiva dello 0,10% sui 24,3 miliardi di ricchezza accumulata fra il 2014 e il 2018.
ProPublica ha dichiarato che questa prima inchiesta è solo l’inizio: nei prossimi mesi verranno scandagliati a fondo i metodi grazie ai quali alcuni fra gli uomini più ricchi al mondo hanno potuto eludere le imposte sui propri redditi.
Musk, Bezos: il nodo del capital gain
Gran parte delle fortune accumulate da miliardari in dollari come Elon Musk o Jeff Bezos derivano dalla crescita nel valore di mercato delle proprie partecipazioni in società quotate come Tesla o Amazon.
E’ importante dunque sottolineare che, nel momento in cui dovessero liquidare una parte delle proprie azioni, entrerebbe in gioco la tassa sul capital gain. Finché la plusvalenza non viene realizzata, negli Usa non è previsto il pagamento di alcuna tassa (quest’ultima può arrivare al 20%, a seconda del livello di reddito).
La tassazione dei grandi patrimoni
Sulla tassazione delle multinazionali e dei grandi patrimoni sono intervenuti di recente il G7 e il Fmi. Durante lo scorso fine settimana, i ministri delle Finanze del G7, riuniti a Londra, hanno raggiunto un accordo “sul principio di una aliquota globale minima del 15% per la tassazione delle grandi imprese, applicata Paese per Paese”.
Obiettivo: mettere la parola fine alla corsa al ribasso fra gli stati sul fronte dell’imposizione fiscale. In base a quanto deciso, si prevede un’aliquota minima di almeno il 15% per tutte le multinazionali e l’intenzione di tassare il 20% della quota eccedente il 10% dei profitti nei Paesi in cui vengono realizzati.
La proposta sarà ora discussa in sede G20 a luglio a Venezia, con la prospettiva di essere allargata. Ma per l’attuazione tecnica saranno necessari alcuni anni.
Per quanto riguarda i singoli patrimoni si è espresso il Fondo monetario lo scorso mese di aprile. Tassare i patrimoni più alti per uscire dalla crisi post-pandemica e ridurre le disuguaglianza sociali.
È la strada ribadita dal Fmi all’interno dell’ultimo Fiscal Monitor, diffuso ad aprile, in cui suggerisce alle autorità politiche di tutto il mondo di considerare” un contributo per la ripresa dal Covid-19, imposto su redditi alti o i grandi patrimoni”. Una necessità dettata anche dall’urgenza di ridurre la montagna di debito pubblico accumulato da tutti i paesi a seguito della pandemia.
“Per raccogliere le risorse necessarie a migliorare l’accesso ai servizi di base, rafforzare le reti di sicurezza sociale e gli sforzi per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile”, si legge “è necessaria la riforma della tassazione domestica e internazionale, in particolare quando la ripresa avrà preso ritmo”.
Uno studio della London School of Economics pubblicato lo scorso mese di dicembre ha evidenziato come negli ultimi 50 anni, analizzando 18 paesi Ocse, i tagli fiscali effettuati a favore delle categorie più agiate non abbiano portato né ad un aumento della competitività né a quella del Pil.