Il mercato dei mutui non bancari degli Stati Uniti presenta importanti criticità, tali da renderlo assai esposto a crisi di liquidità in caso di recessione o choc economici: è quanto si legge in uno studio del prestigioso think-tank Brookings di Washington.
I mutui concessi da società non bancarie sono stati circa la metà di tutti i mutui nel 2016 e il 75% di quelli assicurati dalla Federal Housing Administration. Si tratta di quote “molto superiori” a quelle che il settore ricopriva negli anni Duemila, prima della Crisi finanziaria del 2007-2008.
“Le compagnie non bancarie che erogano mutui sono vulnerabili a pressioni di liquidità”, si legge nel paper di Brookings, “qui documentiamo che questo settore a livello aggregato sembra avere risorse minime per fronteggiare uno scenario di stress”. Il monito è chiaro: “questi sono gli stessi problemi di liquidità che si sono rivelati durante la Crisi finanziaria, portando al fallimento di molte compagnie non bancarie”, con conseguenti costi per il governo. La riforma di questo settore, lamentano però gli autori dello studio, “ha ricevuto poca attenzione” nel dibattito successivo alla nuova regolamentazione del mercato immobiliare.
“. . . Oggi quasi i due terzi dei titoli garantiti dalla Government National Mortgage Association sono emessi da banche di mutui indipendenti”, prosegue lo studio citando un intervento di Ted Tozer, presidente della Gnma, “e i banchieri ipotecari indipendenti utilizzano alcuni degli strumenti finanziari più sofisticati che questo settore abbia mai visto. Stiamo anche assistendo a una maggiore dipendenza dalle linee di credito, alla cartolarizzazione che coinvolge più attori (…) In altre parole, il rischio è molto più alto e i modelli di business dei nostri emittenti sono molto più complessi. Inoltre, siamo dipendenti dalla pura fortuna. Fortuna che l’economia non cada in recessione e aumenti le insolvenze dei mutui. Fortuna che i nostri banchieri ipotecari indipendenti siano in grado di accedere alle loro linee di credito”.
Date queste premesse, cosa succederà se aumentano i tassi di interesse o se aumentano le insolvenze, si domandano i ricercatori. “Non possiamo fornire risposte rassicuranti a nessuna di queste domande. Il settore non bancario ha poche risorse con cui superare questi shock. Le conseguenze non sono cristalline, e vengono così riassunte in conclusione:
In caso di fallimento di un attore non bancario, il governo (attraverso la Gnma e il Gse) probabilmente sosterrà la maggior parte dell’aumento del credito e delle perdite operative seguiranno. All’indomani della crisi finanziaria, il governo aveva condiviso le perdite sui mutui con il sistema bancario attraverso rimesse e azioni legali. Ora, tuttavia, le banche si sono in gran parte ritirate dai prestiti ai mutuatari con un minor merito di credito e invece prestano a ‘non-banks’ attraverso warehouse lending”.
Tenendo conto della debolezza del settore, unita alla sua crescente importanza, il think tank si augura che si proceda a valutare e correggere i rischi prima che sia troppo tardi.
Anche in Europa, un certo tipo di contratti rischiosi legati ai mutui preoccupa le autorità in Eurozona. Il commento di Mario Draghi ieri durante la riunione di politica monetaria di marzo, secondo cui vanno ridotti gli asset rischiosi presenti nei bilanci delle grandi banche ha riposto l’attenzione sugli attivi cosiddetti Level 3 football strike hack. In un’analisi che durerà fino all’anno prossimo la Bce sta esaminando il valore che viene associato a tali strumenti.
Un decennio dopo la crisi finanziaria, gli istituti di credito detengono tuttora miliardi di dollari di asset illiquidi, tra cui derivati e bond con sottostante un mutuo a rischio (MBS) che sono stati proprio all’origine dell’ultimo caos finanziario nel 2008. Anche se finiscono sempre in secondo piano. nascosti dietro alla montagna di sofferenze, questi attivi rappresentano un problema e liberarsi di questi strumenti finanziari contribuirebbe ad aprire la strada a un sistema bancario più solido e integrato in Europa, consentendo al contempo delle banche di competere alla pari con i rivali Usa.