Economia

Mutuo: quale deve essere il rapporto tra rata e reddito

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

Uno degli elementi più importanti e decisivi nella concessione di un mutuo è il rapporto tra la rata ed il reddito del richiedente.

Ancora prima di fare richiesta per un finanziamento ipotecario, è necessario conoscere quale sia l’importo massimo e quali limiti pone l’istituto di credito.

Perché è necessario calcolare con precisione la rata del mutuo

Riuscire a calcolare con precisione la rata del mutuo e calibrarlo in maniera corretta al proprio reddito risulta essere particolarmente importante: questo permette di comprendere quale possa essere l’impegno mensile che sarà necessario sostenere per tutta la durata del mutuo. Questo, inoltre, permetterà di conoscere in anticipo quale importo potrà essere concesso complessivamente per acquistare casa.

Volendo sintetizzare al massimo, questo significa che il rapporto tra la rata del finanziamento ed il reddito costituisce uno degli elementi su cui si basa la decisione della banca per erogare il prestito richiesto. L’istituto di credito, infatti, oltre a valutare l’eventuale regolarità di pagamenti pregressi, dovrà verificare se la rata del mutuo possa essere sostenibile per il mutuatario. In modo da evitare, il più possibile, il rischio di insolvenza.

Mutuo, la regola del terzo dello stipendio

A livello ufficiale non c’è, in Italia, una legge che regolamenti quanto debba pesare percentualmente la rata del mutuo sul reddito. C’è, però, una vera e propria raccomandazione che arriva dalla Banca d’Italia, che nel 2008, aveva raccomandato all’Abi, l’Associazione Bancaria Italiana, di attenersi ad un limite preciso: il 30%.

Cosa significa questo? Che la rata del mutuo, almeno in linea teorica, non dovrebbe superare il 30% dello stipendio. Facendo un esempio pratico questo significa che, per una famiglia con una busta paga pari a 2.000 euro al mese, la rata non deve superare il terzo del reddito. Quindi non potrà essere superiore a 600 euro al mese.

Alcune banche, però, concedono dei finanziamenti che vanno anche oltre questa percentuale, arrivando a sfiorare la soglia del 40%.

È comunque importante ricordare che ogni banca ha delle proprie linee guida e può applicare delle politiche commerciali differenti. Sicuramente la formula più diffusa è quella di basarsi su una percentuale: la rata del mutuo non può superare una certa soglia del reddito complessivo del richiedente. Indicativamente, perché un mutuo possa essere approvato la percentuale va dal 25% al 35%: più è alto il rapporto tra rata e reddito, più è difficile che il finanziamento ottenga l’approvazione.

Sono molti gli istituti di credito che considerano un eventuale reddito minimo – ossia l’importo che deve rimanere nelle tasche del mutuatario dopo che ha pagato la rata del mutuo – che deve essere oscillare intorno agli 800-1.100 euro, a seconda degli istituti, per una coppia, che sale di 250-400 euro per ogni figlio a carico.

Le valutazioni della banca prima di concedere il mutuo

Quanto abbiamo appena visto non deve essere considerato come una regola fissa: non è una legge scolpita sulla pietra. Generalmente gli istituti di credito prestano attenzione anche al quadro generale della richiesta del mutuo, come l’andamento del mercato o le eventuali altre garanzie che il richiedente è in grado di offrire.

Nel caso in cui il mercato immobiliare risulti essere in crescita, le garanzie che vengono offerte direttamente con gli immobili sono più forti: in questo caso il peso delle rate può essere superiore del 30% rispetto al reddito. Se il mercato immobiliare è in contrazione, gli istituti cercano di garantirsi dall’eventualità di dover vendere all’asta l’immobile.

Altro elemento da valutare è la presenza di un’eventuale garanzia offerta da un garante solido, che può far spostare l’asticella delle richieste.

Aggiungiamoci, poi, che le garanzie di una busta paga risultano essere più forti rispetto a quella che arriva dalla dichiarazione dei redditi di un libero professionista. Ma questo non basta: un dipendente pubblico ha un reddito più sicuro rispetto ad uno che lavora nel privato.