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Nasce anche in Italia il FOIA Freedom of Information Act

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Roma – E’ stata presentata oggi a Roma alla Sala stampa della Camera dei Deputati l'”Iniziativa per l’adozione di un Freedom of Information Act in Italia” o FOIA, a cui Wall Street Italia aderisce con entusiasmo: noi siamo sempre stati per la massima trasparenza nella gestione della cosa pubblica. Per controllare meglio l’operato di chi governa.

E’ un importante passo avanti verso la liberta’ effettiva di informazione per i cittadini di un paese come il nostro molto arretrato, agli ultimi posti in Occidente, il fine e’ colmare il vuoto tra Stato e societa’ civile. Due gli obiettivi prioritari da conseguire: 1) sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di un rapporto paritario tra cittadino e pubblica amministrazione. 2) Impegnarsi per far mettere in primo piano nella agenda parlamentare una revisione della legge del diritto di accesso.

Ad illustrare il progetto sono stati oggi a Roma il presidente della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa) Roberto Natale, la storica Elena Aga Rossi, il giornalista Raffaele Fiengo, i senatori Pietro Ichino e Vincenzo Vita che stanno lavorando ad una proposta di legge da presentare in parlamento, l’on. Giuseppe Giulietti di Articolo 21, Enzo Marzo di Società Pannunzio per la libertà d’informazione, Marco Contini.

Dal sito www.foia.it tutti i cittadini anche non addetti ai lavori possono (dovrebbero) aderire all’appello.

Il nostro paese vive uno dei momenti più difficili della sua storia: la grave situazione economica nazionale ed europea e il rischio di un crollo dell’euro, l’aumento della disoccupazione, la grave crisi dei partiti, l’inefficienza e la disorganizzazione della pubblica amministrazione, la difesa degli interessi corporativi, la crescita delle diseguaglianze sociali, la corruzione, il discredito delle istituzioni. In questa situazione tutti gli italiani possono contribuire ognuno per le loro competenze e nei loro settori ad affrontare i problemi che bloccano lo sviluppo della società civile e impediscono la ripresa economica.

Un gruppo di associazioni e di singoli cittadini, riunitisi presso la Federazione nazionale della stampa, ha deciso di aprire un dibattito pubblico sull’esigenza di un maggiore riconoscimento del diritto all’informazione, con l’introduzione di una legge sul Freedom of Information simile a quella introdotta negli Stati Uniti nel 1966 (FOIA) e da tempo esistente nei paesi democratici.

Un confronto tra la nostra legge (241/1990) e quelle in vigore negli altri paesi europei e in USA, mostra il ritardo dell’Italia dal punto di vista sia culturale sia legislativo, per quanto riguarda i diritti del cittadino. La nostra legge è infatti l’unica in Europa a subordinare la richiesta della documentazione della pubblica amministrazione a un interesse diretto del singolo cittadino, e ad escludere esplicitamente la possibilità di un suo utilizzo come mezzo di controllo generalizzato sulla pubblica amministrazione.

Nonostante il principio della “accessibilità totale” sia stato introdotto nella normativa italiana vigente (Legge 15/2009; 150/2009; 183/2010), esso resta appunto soltanto una mera affermazione di principio, non in grado di vincolare la pubblica amministrazione attraverso, ad esempio, un sistema di obbligo-sanzione.

In Europa e negli USA, al contrario, il diritto all’accesso è garantito a chiunque indipendentemente da ogni specifico interesse, e diventa quindi un vero e proprio strumento di controllo dell’attività amministrativa (esplicitamente esclusa dalle modifiche approvate alla legge italiana sulla trasparenza nel 2005) e di partecipazione dei cittadini ai meccanismi decisionali. Il principio del Freedom of information obbliga la pubblica amministrazione a rendere pubblici i propri atti e rende possibile a tutti i cittadini di chiedere conto delle scelte e dei risultati del lavoro amministrativo.
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“Vogliamo accesso ai documenti della Pa”. Nasce una coalizione per un Foia italiano

La trasparenza e la conoscibilità degli atti pubblici sono un’utopia in Italia, mentre in altri Paesi sono la norma. Come negli Usa, dove esiste il Freedom Of Information Act. L’appello di un gruppo di giornalisti, studiosi, amministratori e attivisti. Per controllare l’operato di chi governa, in nome della democrazia.

di MARIO TEDESCHINI LALLI

Il contenuto di questo articolo – pubblicato da La Repubblica – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

Se avete mai chiesto a un ufficio pubblico un’informazione importante ma non ovvia, con ogni probabilità avrete avuto in risposta un’altra domanda: “Perché? A che le serve?”

In Italia, per tradizione, si può conoscere solo ciò che è ufficialmente pubblico, tutto il resto è considerato riservato. Un cittadino deve giustificarsi se vuole venirne a conoscenza e spesso, comunque, non può. In altri paesi democratici non è così: gli atti della pubblica amministrazione possono essere richiesti e consultati, sono – in linea di principio – pubblici o pubblicabili e sono stabilite precise procedure perché le amministrazioni rispondano a queste richieste di conoscenza.

In Italia, come l’esperienza di ciascuno insegna, le cose non stanno così. Per cambiarle nei giorni scorsi è nata una coalizione di giornalisti, studiosi, pubblici amministratori, attivisti che si battono per la trasparenza del governo.

La prima mossa della coalizione – e visto che parliamo di trasparenza, è bene essere chiari: chi scrive è tra i promotori – è stata la pubblicazione del documento 1 “Dieci buoni motivi per volere una legge sulla trasparenza della Pubblica amministrazione” su un sito web (www.foia.it 2) che prende il nome dal Freedom of Information Act, la legge americana che consente a chiunque di domandare copia degli atti della pubblica amministrazione.

Non tutto è semplice neppure lì, naturalmente. Anche in America le burocrazie preferiscono lavorare nell’ombra, le procedure sono lente e alcuni documenti restano riservati o sono pubblicati con vistosi “omissis”, ma nel complesso siamo sideralmente distanti dalla situazione italiana.

A dir la verità, nel 2009 un emendamento del senatore Pietro Ichino alla Legge Brunetta, votato in mondo bipartisan, ha introdotto nella legislazione italiana il principio di “accessibilità totale” per gli atti pubblici, ma senza norme di attuazione e misure organizzative ad hoc, il principio è destinato a restare lettera morta. Unica norma realmente operante in Italia è la legge del 1990 che prevede l’accesso agli atti solo per chi possa dimostrare un interesse specifico.

Di qui la necessità di lanciare una campagna di mobilitazione, che è politica in senso lato, perché anche l’Italia si doti di strumenti di trasparenza e controllo al pari dei molti altri Paesi che già hanno una legislazione simile al Foia (a partire dalla Svezia, che in realtà fu la prima ad adottarla).

Una campagna che potrebbe e dovrebbe intrecciarsi con un altro movimento, distinto e parallelo, che spinge le amministrazioni pubbliche a rendere “aperti” i dati che raccolgono. Il movimento “open data”, chiede – e in parte sta già cominciando ad ottenere – che i dati in loro possesso siano resi pubblici in formato riutilizzabile (siano cioè scaricabili ed eventualmente “ricalcolabili”).

Della nuova iniziativa fanno parte, come si è detto, molti reporter e organizzazioni di giornalisti, visto che l’accessibilità degli atti pubblici dovrebbe loro consentire una più efficace opera di racconto e controllo dell’operato di governanti e amministratori. Ma non è certamente una cosa che riguardi solo i giornalisti, riguarda prima di tutti i cittadini. Sono i cittadini che devono controllare ciò che è fatto in loro nome e per loro conto e – come ormai sempre più spesso accade all’estero – aiutare anche i giornalisti a raccogliere, vagliare, spiegare dati e documenti che per la loro quantità non potrebbero essere analizzati solo dai professionisti.

L’ampia adesione del mondo del giornalismo a questa iniziativa ha, per chi scrive, un altro aspetto positivo: potrebbe indurre il mondo del giornalismo professionale italiano a pensare in maniera molto concreta ad aprirsi anch’esso a esigenze di trasparenza finora largamente ignorate. Se il cittadino avrà maggior fiducia in una pubblica amministrazione più trasparente, dovrebbe dar anche maggior credibilità alle testate che gli offrano i dati originari, le fonti (quando non riservate) delle proprie informazioni.

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