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(WSI) –
Sorprende lo straordinario successo di Nicolas Sarkozy in Italia. Paragonabile a quello che gli è stato tributato nel suo Paese. Anche in Italia Sarkozy piace, alla classe politica e agli elettori. Di destra, sicuramente, ma anche di sinistra. Forse perché rappresenta ciò che in Italia attendiamo, inutilmente, da troppo tempo: il rinnovamento. Sarkozy, infatti, è veramente un “homo novus”, come lo ha definito Barbara Spinelli (su “La Stampa”). “Sospettato” di essere accentratore e decisionista. Secondo la tradizione e il linguaggio francese: un “bonapartista”. Determinato a interpretare la parte del “Presidente che governa” (anche se in modo flessibile, come segnalava nei giorni scorsi Bernardo Valli, su “la Repubblica”).
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Ma più che un vizio, per gran parte degli elettori (anche di sinistra) questo è un pregio. Una virtù. In Francia e ancor più in Italia. Dove avanza, inarrestabile, una grande voglia di “cesarismo” (versione italiana del “bonapartismo”). In un recente sondaggio condotto da Demos-Eurisko per “la Repubblica” (su un campione nazionale rappresentativo), infatti, l´84% degli italiani si dice d´accordo con l´affermazione: “Ci vorrebbe un uomo forte a guidare il Paese”. Perché “oggi c´è troppa confusione”. Il dato è ancora più clamoroso se valutato in termini di tendenza. Visto che dal 2004, fino a novembre 2006, era cresciuto dal 49% al 56%. Mentre negli ultimi sei mesi la domanda di “un uomo forte alla guida del Paese”, in Italia, è aumentata di 30 (!!!) punti percentuali. Sulla differenza dei valori (lo chiariamo per prudenza) può avere influito il fatto che l´ultima rilevazione sia stata condotta da un istituto diverso rispetto alle precedenti occasioni: Eurisko invece di Demetra.
Tuttavia, si tratta di agenzie demoscopiche di elevata e riconosciuta professionalità. E, soprattutto, il divario è troppo elevato per dipendere da fattori tecnici. Indica, invece, un sentimento diffuso, che negli ultimi tempi ha, improvvisamente, tracimato, allagando tutta la società. Le distinzioni anagrafiche e territoriali, infatti, sono limitate. Più rilevanti appaiono, semmai, le differenze dettate dalla posizione politica. Visto che questo orientamento cresce, in modo costante, passando da sinistra a destra. Il sostegno più convinto, infatti, proviene dagli elettori di An e della Lega Nord: 96% in entrambi i casi. Non dissimile dal dato espresso dagli elettori di Forza Italia: 93%. Tuttavia, questo orientamento è largamente condiviso anche sul versante politico opposto. Perfino tra coloro che si collocano all´estrema sinistra e fra gli elettori di Rifondazione Comunista, infatti, la voglia di un “uomo forte alla guida del Paese” è vicina al 70%.
Questa dilagante simpatia “cesarista” può suggerire il diffondersi, nell´opinione pubblica, di sentimenti autoritari. Tuttavia, fra gli italiani, il valore della democrazia resta elevatissimo. Circa l´80% dei cittadini lo considera “il migliore dei mondi possibili” (Indagine Demos-FNE-Pragma, settembre 2005). Anche se quasi il 60% dei cittadini si dice “insoddisfatto del funzionamento della democrazia in Italia” (Demos-Eurisko, giugno 2007). Più che un sentimento autoritario, allora, questo orientamento segnala “voglia di autorità”. Di “democrazia efficiente”. E´, quindi, anzitutto, un segno di sfiducia verso le istituzioni, i partiti (oppure ciò che ne resta e residua) e la classe politica (nel senso oligarchico, attribuito da Gaetano Mosca).
Peraltro, questo sentimento riflette la tendenza, ormai consolidata nell´Italia della (cosiddetta) seconda Repubblica, di ricondurre ogni soggetto politico e istituzionale a “singole persone”. Lo Stato: identificato con Ciampi oppure Napolitano. Il governo: riassunto nella figura di Berlusconi o di Prodi. I partiti: tutti, impersonati dai leader. E ancora, gli enti territoriali, impersonati dai sindaci e dai presidenti. Ma anche le associazioni di categoria, le stesse banche.
Berlusconi, da questo punto di vista, non è solo il modello, ma anche l´inventore e l´idealtipo della seconda Repubblica. Imitato da tutti.
In altri termini, gli italiani chiedono un “uomo forte” perché istituzioni e partiti hanno assunto un´immagine “personale”. Il volto di “uomini”. (Di donne, nei luoghi del potere, in Italia, non c´è traccia). Ma continuano ad apparire “deboli”, quanto a credibilità e autorità. Gli italiani, dunque, vorrebbero partiti e istituzioni “personali” più autorevoli, con cui confrontarsi direttamente.
Da ciò, la domanda di semplificare la rappresentanza politica, fino a trasformare il bipolarismo in bipartitismo. E questo in bipersonalismo. Non a caso la voglia di “uomo forte” è, appunto, più “forte” (oltre 5 punti percentuali) tra gli elettori dei due schieramenti che vorrebbero trasformare la loro coalizione in un “partito unico”. Assistiamo, dunque, a una duplice richiesta di semplificazione: riassumere la sfrangiata e sparsa compagine dei partiti e dei partitini in due soli grandi soggetti politici; in due grandi partiti. Da ricondurre, a loro volta, a due leader. Un modello americano, insomma.
Oppure “alla francese”, ma nella versione interpretata, in questa fase, da Sarkozy. (Il quale, peraltro, ambisce a riassumere “entrambi gli schieramenti”, destra e sinistra, nel suo “governo presidenziale”).
D´altra parte, in Italia, dal 1996 ad oggi il confronto politico ed elettorale si è progressivamente ridotto a un fatto personale, tra Berlusconi, da una parte, e Prodi (con la variante di Rutelli, nel 2001), dall´altra. L´accelerazione impressa alla costruzione del Pd e alla candidatura di Veltroni mira a consolidare questa tendenza. Rendendo più competitivo il centrosinistra, oggi in stato di asfissia. Ma rischia di accentuarne anche le contraddizioni.
Perché in Italia regna il caos istituzionale. Siamo una Repubblica “preterintenzionale”, dove agiscono presidenti senza presidenzialismo, premier senza premierato, partiti maggioritari senza maggioritario. Partiti personali in cui la persona e il partito (ridotto perlopiù a un´oligarchia) sono prigionieri l´uno dell´altro. Dove ogni leader, quando vince le elezioni e governa, diventa “debole”. Come Prodi, che, dopo un anno di governo, ha raggiunto un indice di fiducia infimo. Mentre Berlusconi giganteggia. Un cigno. Ma ieri, quando governava, alle prese con promesse eluse e deluse, era un brutto anatroccolo, anche lui.
Perché, in Italia, è “forte” solo chi sta all´opposizione. E chi, invece della politica, pratica e predica l´antipolitica (o la “contropolitica”, come la definisce Alfio Mastropaolo, in un´inchiesta di Gigi Riva sull´”Espresso” di questa settimana).
Da ciò l´accelerazione, davvero formidabile, che ha caratterizzato la domanda di “uomo forte” negli ultimi mesi. Riflette il malessere – acuto – della società, frustrata da un deficit di autorità e di senso. Senza guida, senza riferimenti condivisi. A livello politico, ma anche culturale. Un Paese dove è difficile perfino individuare i “poteri forti”. Ostaggio di mille “poteri deboli”. Capaci di “interdire” ma non di “dire”. Di “porre” veti, ma non di “imporsi” agli altri. Di agire nel retroscena, non sulla ribalta. Come una commedia senza soggetto e senza sceneggiatura. Senza protagonisti. Recitata da comparse. Senza dialoghi. Solo un fastidioso brusio di fondo.
Da ciò la difficoltà, per noi, di imitare il modello francese. Affidando il nostro futuro a un prossimo scontro fra Berluskozy e Veltrozy. Un Paese Debole non produce Uomini Forti. E quando li produce, meglio diffidarne…