MILANO (WSI) – I pettegoli, e non particolarmente informati, dicono che il loro rapporto è ormai compromesso, che le relazioni sono complicate, che i nervi sono tesi, che la legge di stabilità ha tracciato un punto di non ritorno e che insomma tra Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan siamo a un passo dalla rottura.
Gli indizi sarebbero (a) il Def presentato dal Mef e subito rottamato dal premier, (b) il taglio alla spesa pubblica annunciato da Renzi in una misura diversa da quella concordata con il Mef e (c) la scelta di presentare una manovra eccessivamente espansiva e a rischio di bocciatura dalla Commissione europea.
La verità è invece diversa e se c’è un dato che emerge dal percorso seguito per approvare la legge di stabilità è che Renzi ha la certezza di avere alle spalle una copertura politica, quella di Padoan, che vale almeno quanto la copertura economica sulla sua manovra. Padoan e Renzi si piacciono. Si capiscono. Si intendono. Si comprendono.
E, giorno dopo giorno, il ministro dell’Economia ha accettato di diventare non il severo, imbronciato e austero controllore dei conti ma una sorta di complice di Renzi, il suo ambasciatore in Europa, il suo personale “Google translate” tra le cancellerie europee e tra le centrali del potere economico internazionale (Fmi, Ocse, Fed, Ecofin, Commissione europea).
Gli amici di Padoan, quelli che lo conoscono dai tempi in cui lavorava nel governo D’Alema, dicono che l’approccio del ministro non è quello dell’ottuso tecnico monetarista ma è più che altro quello dell’economista industriale: che ha le sue idee, anche diverse da quelle di Renzi, ma che riconosce nel primato della politica un elemento imprescindibile per il funzionamento del governo e del paese – e dunque, di conseguenza, non è la politica che deve essere a servizio della tecnica ma è la tecnica che deve essere a servizio della politica.
L’approccio di Padoan, però, non si può dire che corrisponda all’approccio generale del ministero dell’Economia, delle sue burocrazie e dei suoi tecnici, che sono il riflesso di un equilibrio preciso che governa lo spirito del Tesoro. Burocrati che politicamente si trovano spesso più vicini a persone che sono fuori dal governo (D’Alema, Letta) che non all’interno del governo.
Burocrati che vengono spesso considerati dai tecnici di Chigi in continuità eccessiva con i precedenti governi (Garofoli, capo di gabinetto, è l’ex segretario generale del governo Letta; Pagani, capo della segreteria tecnica, è ex consigliere economico di Letta; Sica, capo dell’ufficio del coordinamento legislativo, era capo di dipartimento per gli Affari giuridici e legislativi durante la presidenza Letta; Ferrara, capo del dipartimento dell’Amministrazione generale del Mef, è stato vicesegretario generale della presidenza del Consiglio durante il governo Letta, e così via).
E burocrati che, infine, soffrono l’accentramento voluto da Renzi in questa legislatura: con la legge di stabilità scritta più a Chigi che al Mef; con la spesa pubblica che oggi, citofonare Gutgeld, è più sotto il controllo di Chigi che del Mef; con la riforma del Lavoro, citofonare Taddei, scritta più a Chigi che al ministero del Lavoro. Padoan, in un primo momento, quando venne scelto da Napolitano per completare la squadra del governo, arrivò a Via XX Settembre anche come risultato di una mediazione fatta dal Quirinale, e dallo stesso Renzi, con alcuni pezzi grossi del centrosinistra italiano.
D’Alema. Bassanini. Amato. E ovviamente Enrico Letta. In un primo momento, Padoan doveva essere una sorta di contrappeso all’esuberanza del renzismo, un filtro tra la tecnica e la politica, tra il centrosinistra di ieri e il centrosinistra di oggi. Doveva essere così. Così gli chiedeva anche il suo amico D’Alema.
Poi il ministro ha pensato alla storia del primato della politica e anche a costo di mettere a rischio un’amicizia, come racconta al Foglio un amico del ministro, “a un certo punto Pier Carlo ha fatto, con il sorriso, la stessa cosa fatta da Renzi a suo tempo: semplicemente, per governare con Renzi, ha scelto, anche lui, di rottamare D’Alema”. L’asse Padoan-Renzi dunque regge. I due si intendono. E se c’è qualcosa che non funziona, tra Chigi e Mef, quel qualcosa va ricercato non sopra ma sotto la superficie del governo. E lì, ogni tanto, tra tecnici e burocrati, sono davvero botte da orbi.
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