Azioni e bond pagano lo schiaffo Fed sui tassi: in vista carrellata strette monetarie di 50 pb?
La Fed di Jerome Powell torna a tramortire i mercati mondiali, sia azionari che obbligazionari, promettendo di andare avanti nella battaglia lanciata contro l’impennata dell’inflazione negli Stati Uniti. L’ennesimo schiaffo hawkish ai mercati è arrivato nelle ultime ore con un intervento di Powell a una conferenza organizzata dall’Fmi, Fondo Monetario Internazionale, in occasione delle sue riunioni primaverili (dove sono state snocciolate previsioni sull’andamento del Pil globale non proprio rassicuranti, visto che l’outlook per il 2022 e il 2023 è stato rivisto al ribasso, in modo netto in alcuni casi, come in quello dell’Italia). A tal proposito, non sono stati di certo di buon auspicio gli avvertimenti che sono stati lanciati qualche giorno sul rischio di un sell off sull’azionario e i bond, inclusi i bond sovrani, da Tobias Adrian, direttore del dipartimento dei mercati monetari e dei capitali dell’Fmi (Fondo Monetario Internazionale) ed ex vice direttore generale senior della Federal Reserve Bank of New York. “Ritengo che nulla sia al sicuro, in questo momento”, ha detto Adrian, riferendosi a eventuali asset su cui investire.
Ieri è arrivata sui mercati una ulteriore mazzata firmata Jerome Powell, che ha detto di ritenere “appropriato muoversi un po’ più velocemente” nel ciclo di rialzo dei tassi. “Direi che una stretta di 50 punti base sarà sul tavolo in occasione del prossimo meeting di maggio”. Il banchiere ha ricordato in tal senso che “nella riunione precedente, molti (esponenti) della commissione hanno ritenuto appropriati uno o più rialzi di 50 punti base”. I mercati hanno preso alla lettera le indicazioni di Powell sulla possibile necessità di alzare i tassi in modo più aggressivo, di 50 punti base, tanto da scommettere su un stretta di 50 punti base nel mese di maggio con una probabilità che è praticamente una certezza, pari al 97,6%, stando a quanto emerge dal FedWatch Tool del CME Group. Wall Street l’ha presa piuttosto male: lo S&P 500 è scivolato dell’ 1,48% a 4.393,66 punti; il Dow Jones Industrial Average ha perso 368,03 punti, o -1,05%, a 34.792,76, mentre il Nasdaq è sceso del 2,07% a 13.174,65. Sul mercato del reddito fisso, i tassi sui Treasuries Usa a 10 anni sono volati fino al 2,95%, ormai a un passo dalla soglia psicologica del 3%: ciò che fa impressione, come ha rimarcato Art Hogan, chief market strategist di National Securities, è non tanto il fatto che i rendimenti stiano puntando con decisione verso l’alto, quanto la velocità a cui il rialzo sta avvenendo. “Non è il livello a cui stiamo arrivando – tutti prevedono ormai che i tassi decennali centreranno il 3% – che sta preoccupando. E’ che nessuno vuole arrivare lì in un giorno. E’ questo il problema”.
In questo contesto, con un tasso di inflazione che negli Usa galoppa al ritmo più forte in 40 anni, a fronte di Powell che si limita a parlare dell’eventualità di una stretta di 50 punti base nel prossimo meeting di maggio, gli analisti rivedono il loro outlook ulteriormente al rialzo.
E’ il caso degli economisti di Nomura, che prevedono ora una stretta di 50 punti base a maggio, seguita da due strette da 75 punti base nei meeting di giugno e di luglio. (E Nomura, vale la pena di ricordare, è stata tra le prime a paventare rialzi dei tassi di 50 punti base). In media, a parte il caso particolare di Nomura, gli analisti stimano ora tre strette di 50 punti base nei prossimi meeting del Fomc – il braccio di politica monetaria della Fed, ovvero delle riunioni del 3-4 maggio; del 14-15 giugno; e del 26-27 luglio. In realtà l’ipotesi di Nomura non è poi neanche eccessiva, se si considera l’appello arrivato in tal senso dall’ormai noto super falco della Fed, il presidente della Federal Reserve di St. Louis James Bullard, che ha ribadito qualche giorno fa la necessità, a suo avviso, che i tassi sui fed funds vengano alzati fino al 3,5% entro la fine dell’anno per affossare la fiammata delle pressioni inflazionistiche. Bullard è lo stesso che ha ha stroncato il neutral rate, ed è lo stesso che ha invocato un rialzo di 300 punti base entro il terzo trimestre.
James Bullard è anche il super-hawk che di certo non ha applaudito al primo rialzo dei tassi Usa dal 2018 che la Fed ha annunciato il 16 marzo scorso, quando ha portato i tassi sui fed funds al nuovo range compreso tra lo 0,25% e lo 0,50%, alzandoli di 1/4 di punto percentuale, attirandosi un bel po’ di critiche da chi ritiene che abbia fatto troppo poco e anche troppo tardi. Il che è probabilmente vero per lo stesso Powell visto che il banchiere centrale ora sembra essere stato investito dall’ansia di alzare i tassi. Ansia che sta però contagiando i mercati, sia quelli dell’azionario che dei bond. Basti pensare che, oltre ai tassi dei Treasuries a 10 anni, sono balzati anche quelli dei tassi a due anni, più monitorati quando si parla di Fed, in quanto più sensibili alle aspettative che si formano sui mercati riguardo alla politica monetaria della banca centrale. Nelle ultime ore i tassi di due anni sono balzati anch’essi al record dalla fine del 2018, schizzando di 8 punti base al 2,76%, scontando anche la dichiarazione di Powell sul trend del mercato del lavoro: “Il mercato del lavoro è troppo surriscaldato…surriscaldato in modo insostenibile”. Il risultato è che, tornando all’outloook medio prezzato dai mercati, oltre a prezzare al 100% strette di 50 punti base nelle riunioni del Fomc di maggio e di giugno, si scommette su un rialzo di 50 pb anche a luglio, con una probabilità del 75%, e su una ulteriore stretta di 50 punti base a settembre, con una probabilità del 50%. A Wall Street, l’ennesimo shock Fed ha innescato le vendite sui titoli FANG+, che hanno cancellato tutto il melt-up della fine di marzo precipitando praticamente al minimo record dal novembre del 2020.Tornando ai Treasuries, Bullard è stato tra i fattori che hanno alimentato il brusco sell off delle ultime ore, anche per la schiette con cui ha detto che “il mercato dei bond non sembra essere il posto in cui rifugiarsi ora”. Apriti cielo, con il boom dei tassi che ha interessato anche i tassi a 30 anni, saliti di 5 punti base (anche se il balzo dei rendimenti ha fatto impennare soprattutto i tassi della parte iniziale della curva dei rendimenti Usa).
A proposito della soglia del 3% ormai vicina per i tassi decennali Todd Schubert, responsabile della divisione di ricerca del reddito fisso di Bank of Singapore, ha così commentato:
“Tassi del 3% per i Treasuries Usa a 10 anni rappresentano una barriera psicologica importante, e dovrebbero essere raggiunti nei prossimi giorni, fattore che si unirà alle sfide già formidabili che stanno creando turbolenze nei mercati dei bond. Al momento, i tassi sono la forza schiacciante che sta dominando i mercati del reddito fisso”. Secondo Ben Jeffery, strategist dei tassi di BMO Capital Markets, “rialzi dei tassi di 50 punti base a maggio e giugno sarebbero ragionevoli, mentre una stretta di 50 punti base a luglio dipenderà su come si rivelerà il trend dei dati (macro) dei prossimi mesi”. Detto questo, se la Fed decidesse di imbarcarsi in una carrellata di strette di 50 punti base, potrebbe arrivare ad alzare i tassi al ritmo più aggressivo degli ultimi 40 anni, ovvero dagli anni Ottanta, quando la Fed fecxe fronte a un balzo dell’inflazione a livelli record della storia Usa, pari al 14,6%; i funzionari della banca centrale furono costretti ad alzare i tassi dal 14% del gennaio del 1980 fino al 19-20% del 5 dicembre del 1980, livello anch’esso record della storia made in Usa.
L’ultima volta invece in cui la banca centrale americana alzò i tassi di mezzo punto percentuale fu nel maggio del 2000. Successivamente, la Fed alzò infatti i tassi sempre di 25 punti base.
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