15:09 venerdì 30 Ottobre 2015

Mercati emergenti: tempi duri ma niente allarmismi, la crisi è evitabile

A cura di Hans Bevers, Senior Economist, Petercam IAM

Di recente i Mercati Emergenti sono sulle prime pagine dei giornali, ma non in maniera positiva. Gli Emergenti stanno attraversando un periodo difficile, ma ci sono diversi elementi che dovrebbero permettere di evitare una vera e propria crisi. Infatti, è ragionevole attendersi che il significativo deprezzamento delle valute visto negli ultimi due anni, insieme alle prossime riforme politiche ed economiche, riuscirà alla fine ad aiutare gli EM a tornare sulla strada giusta, anche se servirà del tempo.

Il rallentamento visto negli ultimi anni riflette diversi fattori, tra cui l’effetto negativo dei più bassi prezzi delle materie prime, le condizioni di finanziamento esterno più dure (legate alla prospettiva del primo rialzo dei tassi negli Stati Uniti), il ribilanciamento economico in atto in Cina, i colli di bottiglia strutturali e, infine, gli elementi geo-politici.

La crescita economica nei Mercati Emergenti è scesa sotto la media degli ultimi 35 anni. Inoltre, il Brasile e la Russia stanno affrontando una recessione. Molti osservatori ora ritengono che i Mercati Emergenti stiano in effetti sprofondando. Sebbene ciò appaia esagerato, è difficile non vedere la netta differenza rispetto alla crescita spettacolare vista nell’ultimo decennio.

Nell’aggiornamento di luglio sull’economia globale, il Fondo Monetario Internazionale stima che l’espansione degli Emergenti rallenterà al 4,2% nel 2015, rispetto al 4,6% fatto segnare nel 2014. Quest’ultima percentuale mostrava già un rallentamento significativo rispetto al 6,1% visto tra il 2000 e il 2012. Va poi notato che la recente volatilità dei mercati finanziari, causata dalle crescenti preoccupazioni per un rallentamento cinese peggiore delle attese, crea chiaramente un rischio ribassista sulle proiezioni per il 2015.

Molti Mercati Emergenti hanno registrato un’accelerazione significativa della crescita del credito privato, con un allargamento dei disavanzi delle partite correnti e un apprezzamento dei tassi di cambio reali, all’indomani della crisi del 2008-2009. Tutto ciò ha reso l’area più vulnerabile ai cambiamenti della propensione al rischio globale.Ciò è stato evidente per la prima volta a maggio 2013, quando l’ex presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, citò per la prima volta la possibilità di ridurre il programma di allentamento quantitativo. Nonostante il cosiddetto tapering non fu attuato fino a dicembre di quell’anno, e l’offerta di liquidità fosse comunque in aumento, gli investitori iniziarono a vendere gli asset dei Mercati Emergenti. Brasile, Sud Africa, India, Indonesia e Turchia divennero noti come i “Fragile Five”, nella prima fase dell’ondata di vendite. Più di recente, non molti Paesi sono stati in grado di evitare le turbolenze.

Tassi di cambio più flessibili, livelli di debito esterno più bassi e elevate quantità di riserve in valute estere dovrebbero proteggere la maggior parte di Mercati Emergenti da una vera e propria crisi finanziaria. Inoltre, le misure di stimolo cinesi probabilmente faranno a breve diminuire le paure di un “atterraggio brusco”. Infine, il deprezzamento delle valute viste in molti Paesi Emergenti dal 2013 dovrebbe alla fine tradursi in una migliore competitività, se combinata con le ulteriori riforme a supporto della produttività. Per essere chiari, come detto, le condizioni finanziarie ed economiche attuali, così come i problemi strutturali, fanno sì che i Mercati Emergenti non vedranno una rapida ripresa.

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