MERCATI: MEGLIO AZIONI CHE BOND. OUTLOOK SUGLI USA
di Alessandro Fugnoli, Il Rosso e il Nero, settimanale di strategia di Kairos
Il mondo degli investitori si divide in due, quelli che hanno cavalcato il rialzo di borse e bond dal 2009 a oggi e quelli che, terrorizzati dal disastro del 2008, sono rimasti a guardare e si sono tenuti liquidi. I primi hanno fatto (o quanto meno recuperato) un sacco di soldi, i secondi sono stati scientificamente tosati dai policymaker attraverso rendimenti reali (e di recente anche nominali) negativi.
Spesso fare tanti soldi dà alla testa. Un lungo bull market intossica la mente e chi vi prende parte comincia presto o tardi a sentirsi particolarmente intelligente e a pensare di essere tra i pochi che hanno capito che il mondo ha imparato a non cadere nei soliti errori ed è davvero cambiato in meglio. È la fase in cui gli investitori più smaliziati tirano i remi in barca, mentre quelli che sono stati semplicemente fortunati si fanno prendere dall’entusiasmo e iniziano a credere alle teorie degli aedi delle magnifiche sorti e progressive che attendono l’umanità. Un triste destino li aspetta, ma ancora più triste è quello di chi è rimasto prudente per tutto il rialzo e decide di entrare al penultimo o all’ultimo momento. La bolla del 1999-2000, come tutte le bolle, fu creata in gran parte proprio dai convertiti dell’ultima ora.
Oggi il clima è però diverso, quanto meno in apparenza. I grandi gestori, quelli bravi davvero, non stanno manifestando nessun entusiasmo. I più scettici sono proprio quelli che hanno cavalcato di più il rialzo. Anche gli investitori individuali, quelli che di solito ci lasciano le penne, non stanno facendo follie per l’azionario. In America i fondi azionari registrano da mesi flussi netti in uscita, non in entrata.
Dove sta il problema, allora? Sta nel fatto che molti di quelli che escono dall’equity o non ci sono voluti mai entrare non hanno abbastanza chiara la differenza tra bond e cash (per cash non intendiamo il conto corrente o il certificato di deposito, ma un titolo fino a 12 mesi di un emittente, governativo o corporate, assolutamente sicuro).
In un mondo che nei prossimi anni diventerà più turbolento, i bond si troveranno di fronte tre rischi. Il primo, quello che li accomunerà tutti, è il rischio di aumento dei tassi. Il mercato non ha, su questo le idee chiarissime. Come fa notare Jaques Cailloux, a metà aprile (a Qe europeo già a pieno regime) gli operatori professionali dichiaravano di aspettarsi il primo rialzo da parte della Bce fra 60 mesi, oggi se lo aspettano fra 29 mesi (l’indice è disponibile sulla pagina Bloomberg MSM1KEEU). La stessa rilevazione indica il primo rialzo per l’America fra sette mesi. Giuste o sbagliate che siano queste aspettative, è evidente che i tassi, oggi a zero, potranno solo salire.
Il secondo rischio cui vanno incontro i bond è quello di credito. Con i tassi a zero e la liquidità creata dalle banche centrali tutti sono capaci di rifinanziarsi ed è quindi ovvio che gli spread di credito siano oggi così compressi. Nei prossimi anni, a tassi normalizzati, la selezione naturale tra emittenti sani ed emittenti deboli riprenderà a funzionare e penalizzerà pesantemente i deboli.
Il terzo rischio è che alla prossima crisi i bail-in sostituiranno i bail-out. Gli emittenti, in altre parole, non saranno più salvati dai contribuenti ma da obbligazionisti e depositanti. L’azionario è abituato a essere sacrificato per primo in caso di crisi fin dai tempi in cui i galeoni carichi di merci affondavano negli oceani e azzeravano così l’investimento dei soci che avevano finanziato l’impresa. L’equity quindi incorpora sempre, nel suo prezzo, il rischio di azzeramento, gli altri strumenti no.
Intendiamoci, i bond non sono finiti. La loro non sarà una discesa lineare e ci saranno sempre momenti in cui un bravo gestore riuscirà a cogliere occasioni convenienti. Oggi, ad esempio, i decennali governativi americani, dopo la discesa delle ultime settimane, potrebbero essere interessanti, almeno per i prossimi tre-quattro mesi. Il punto però è proprio questo. I bond non sono più un buy and hold ma uno strumento di trading da lasciare all’investitore professionale.
La rottura rappresentata dal momento attuale è duplice. In primo luogo è la fine di una fase di basso rischio e alto ritorno e l’inizio di una fase di alto rischio e basso ritorno. In secondo luogo da qui in avanti la strada dei bond e quella dell’azionario si separano.
I bond vanno verso un destino di ritorno molto basso o negativo. L’azionario ha di fronte a sé molte più possibilità. Se la crescita sarà insufficiente l’azionario scenderà. Se sarà tiepida e se i tassi, di conseguenza, saliranno poco e lentamente, l’azionario continuerà a rivalutarsi. Se la crescita sarà forte e se i tassi si normalizzeranno velocemente, l’azionario attraverserà una fase intermedia di volatilità, ma ne uscirà alla fine verso l’alto.
Come si vede, da qui in avanti, i bond saranno avvantaggiati rispetto all’equity solo nel caso si ricada in recessione. Nel caso, molto più probabile, di crescita debole o forte, l’azionario farà meglio. In un mondo che si avvia verso una volatilità crescente e ritorni più bassi la partita si giocherà quindi, sempre più, tra azioni da una parte e cash sicuro dall’altra. Non importa se il cash sicuro costa qualcosa in termini di rendimento negativo, quello che conta è che sia sempre disponibile per approfittare delle debolezze dell’azionario, che saranno tipicamente intense e brevi.
Venendo al presente, il quadro macro appare complicato e paradossale. In Europa ci siamo tutti convinti, negli ultimi mesi, che l’euro debole avrebbe favorito la crescita delle esportazioni con tutte le conseguenze positive del caso. Ce ne siamo talmente convinti che siamo diventati ottimisti e abbiamo iniziato a consumare di più. Consumando di più abbiamo anche importato di più. Le esportazioni, dal canto loro, non sono aumentate. Il risultato è che, per adesso, abbiamo festeggiato una cosa che non si è verificata.
L’America, che con il dollaro forte dovrebbe potere importare tutto quello che vuole e consumare di più, si è invece spaventata e si è ritrovata a consumare di meno e a risparmiare di più. I produttori, che avevano accumulato scorte nel quarto trimestre pensando a un’accelerazione dei consumi, si ritrovano con i magazzini e i piazzali pieni.
Prepariamoci dunque a un secondo trimestre anch’esso debole alla fine del quale qualcuno comincerà a parlare di stagnazione. In realtà, smaltite le scorte, la situazione tornerà in equilibrio e l’ottimismo prevarrà di nuovo. Se l’America, come è probabile, si riprenderà nella seconda parte dell’anno e se la Cina, come è verosimile, riaccelererà anch’essa, allora vedremo le esportazioni europee crescere sul serio. Operativamente, approfitteremmo della borsa americana ai massimi e di una ripresa delle borse europee in caso di risoluzione positiva della questione greca per alleggerire qualcosa sull’azionario, pronti a rientrare alla prima correzione. Continuiamo a essere neutrali, nel breve, sul cambio tra euro e dollaro.
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