Mps invia capital plan a Bce confermando aumento capitale da 2,5 miliardi. Ma la cifra non è incisa nella pietra
Mps: il cda della banca senese approva e invia alla Bce il ‘capital plan’, confermando il piano di un aumento di capitale da 2,5 miliardi di euro. E’ quanto ha annunciato lo stesso Monte dei Paschi di Siena : “In ottemperanza all’informativa richiesta da Consob ai sensi dell’art 114 comma 5 del D.Lgs. n. 58/98, Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., richiamando anche quanto riportato nel Bilancio pubblicato il 21 marzo scorso, informa che, in ottemperanza alle prescrizioni della Final SREP Decision ricevuta in data 2 febbraio scorso, ha inviato alla Banca Centrale Europea il Capital Plan approvato dal Consiglio di Amministrazione in data odierna.
Il Capital Plan – precisa il comunicato, che è stato diramato nella serata di ieri – è sviluppato secondo ipotesi coerenti con quelle del Piano Strategico 22-26 approvato dalla Banca il 17 dicembre 2021, anche per quel che concerne l’ammontare del sottostante aumento di capitale”. Per ora, come aveva sottolineato qualche giorno fa lo stesso ministro dell’Economia Daniele Franco, titolare del Tesoro che detiene la quota di maggioranza del 64% in Mps, la cifra dell’aumento di capitale è dunque quella contenuta nel ‘vecchio’ piano dell’ex ceo Guido Bastianini.
“Proseguono le interlocuzioni con tutte le Authorities coinvolte, nell’ambito dei rispettivi processi autorizzativi, riguardo cui, al momento, non è possibile ipotizzare la tempistica di completamento”, conclude la nota. La cifra di 2,5 miliardi di euro di aumento di capitale, va detto, non è incisa nella pietra: a questo punto entrano infatti nel vivo le trattative tra il Mef da una parte e la Bce e l’Ue dall’altra, per capire se un rafforzamento patrimoniale di questa entità basterebbe per rimettere in carreggiata Mps. L’obiettivo, come ha rimarcato Daniele Franco nell’audizione recente alle Commissioni Finanze riunite di Camera e Senato, è quello di realizzare la fine del controllo di Mps da parte del Tesoro, ergo la sua uscita dalla quota di maggioranza che detiene nel capitale senese ormai da cinque anni: da quel 2027 in cui Bruxelles disse di sì alla ricapitalizzazione precauzionale da 5,4 miliardi di euro chiesta dal governo italiano.
Franco è stato chiaro: “Il mantenimento del controllo dello Stato sulla Banca senza limiti di tempo non è in ogni caso uno scenario ipotizzabile”, mandando di nuovo in frantumi i sogni di chi vorrebbe Mps e non solo sotto l’ombrello costantemente aperto del Tesoro. D’altronde, “sono molto chiari gli obblighi giuridici derivanti dalla cornice normativa europea che impediscono questa soluzione”. D’altro canto, “sebbene sia possibile anche una vendita in tempi stretti di Monte dei Paschi di Siena, è ragionevole attendersi che solo dopo l’aumento capitale e la ristrutturazione si creeranno le condizioni più favorevoli per la privatizzazione”.
Dunque, l’aumento di capitale è la condizione sine qua non per la successiva vendita della banca. Ed è da qui che Siena parte: nella nota non lo scrive, ma il fatto che l’operazione di aumento di capitale faccia riferimento al piano strategico 2022-2026 conferma la cifra di 2,5 miliardi. Lo stesso Franco si era mostrato conciliante nei confronti di questo numero, ddefinend la cifra ddi 2,5 miliardi in “ancora adeguata”. Anche il ministro aveva precisato comunque che il numero definitivo dell’aumento si sarebbe conosciuto con il “piano industriale che riesaminerà la situazione alla luce di tutti gli sviluppi più recenti della nostra economia e del quadro internazionale”.
Su questo piano industriale sta lavorando il neo amministratore delegato chiamato a prendere il posto di Bastianini, ovvero Luigi LoVaglio: la nuova versione del piano ddovrebbe essere presentata da LoVaglio & Co quest’estate.
Riguardo alla tabella di marcia, una indicazione era arrivata da un articolo de Il Sole 24 Ore: “Dopo il primo invio a Bce del capital plan scatteranno le interlocuzioni con le Authority. E solo una volta chiariti gli obiettivi del nuovo piano industriale – realisticamente tra giugno e luglio (si veda Il Sole 24Ore del 23 marzo) -si capirà ‘quale debba essere la cifra’ finale della ricapitalizzazione che, di certo, non potrà prescindere dai nuovi scenari macro e dovrà essere realizzata a condizioni di mercato. Di certo solo così si potrò garantire la tenuta finanziaria dell’operazione per lo Stato e la convenienza – a tendere – per la futura uscita dal capitale”. La nota odierna di Equita riporta le indiscrezioni di Reuters, sottolineanddo come anche secondo l’agenzia di stampa
“la revisione del piano da parte del nuovo ceo Lovaglio e la dimensione definitiva dell’aumento di capitale saranno resi noti tra giugno e luglio”.
Sulla vendita, dichiarazioni sulla possibile banca che sarebbe disposta ad accollarsi Mps, dopo il flop delle trattative tra il Mef maggiore azionista e UniCredit di AndreaOrcel, una dichiarazione a commento di quanto detto dal ministro Daniele Franco è arrivato negli ultimi giorni dal numero uno della FABI, il sindacato dei lavoratori bancari, Lando Maria Sileoni. n una intervista rilasciata al Giornale Radio Rai Uno, Sileoni aveva detto che, se il ministro dell’Economia aveva detto no allo spezzatino del Mps – così come era stato nel corso del suo intervento alle Commissioni – ciò significa che il governo sa già chi potrebbe rilevare il Monte: “Se il ministro dell’Economia, Daniele Franco, dice no allo spezzatino del Monte dei Paschi di Siena, vuol dire che il governo ha già in tasca una soluzione cioè un gruppo che acquisisce Mps”. “Sono curioso di vedere quanto cambierà il nuovo piano industriale, rispetto alle previsioni del piano industriale che non è mai uscito e che prevedeva 6-7mila esuberi – aveva aggiunto Sileoni, lanciando un avvertimento: “Bisogna tenere d’occhio quando finisce la legislatura e quanto ci vorrà per fare un accordo sindacale sul piano industriale ma soprattutto per gestirlo, perché i problemi sono due: fare un accordo e poi gestirlo. Ecco perché il fattore tempo, quando si gestirà l’accordo sindacale, sarà fondamentale, perché con questo governo ci sarebbero pochi problemi, con un altro governo i problemi aumenterebbero”. Sileoni ha anche ricordato il flop delle trattative con UniCredit, parlando di una operazione “fallita per approcci sbagliati”.
A suo avviso, a sbagliare era stata UniCredit, “che si é messa al tavolo della trattativa non capendo che non aveva davanti un privato, ma lo Stato, anzi il governo guidato da Mario Draghi e sappiamo quale autorevolezza il premier abbia sia in Italia sia in Europa. Ed era sbagliato anche l’approccio dello Stato che non ha capito che davanti aveva un privato, un neoamministratore delegato che non era nelle condizioni politiche interne di appesantire il gruppo o di crearsi un problema politico ed economico con l’acquisizione di Mps”.
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