Mps, Padoan: no a nazionalizzazione e bail-in. Mentre qualcuno chiede il delisting
Sul dossier Mps, il Ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, nel corso del question time alla Camera, afferma che non ci sono in cantiere nè piani per nazionalizzare la banca né operazioni di bail-in. Padoan parla di “ipotesi senza fondamento”.
Arriva intanto la nota sulle dichiarazioni rilasciate da Tommaso Fattori, Consigliere regionale di Sì Toscana a Sinistra, durante il dibattito sulle relazioni finali della commissione d’inchiesta in merito alla Fondazione e alla Banca Montepaschi di Siena e i rapporti con la Regione Toscana.
“Siamo davanti a un sistema bancario interamente privatizzato che fa acqua da tutte le parti, all’incapacità della politica di fare le riforme necessarie, partendo dalla sacrosanta separazione fra banche d’investimento e banche commerciali. La chiave della vicenda MPS, da cui si dovrebbe inevitabilmente partire, è prima di tutto l’elenco dei nomi di chi ha intascato denaro e non ha poi restituito i prestiti, ma nessuna responsabilità è stata finora accertata, così come non è stata attivata una commissione di inchiesta parlamentare: quindi l’evidenza dell’incapacità dei controllori di controllare e di individuare responsabili e colpevoli”.
Continuando:
“Il problema è che la vicenda non è per niente chiusa, si sono compiuti errori e disastri, e si continua a compierli”. “Le stesse forze politiche che, con pratiche consociative, hanno utilizzato MPS come un bancomat, generando così una montagna di crediti inesigibili, e che hanno coperto e promosso l’acquisto di Antonveneta a un prezzo strabiliante e fuori mercato, oggi stanno avviando il terzo gruppo bancario italiano verso il bail-in, cioè verso il baratro, scaricando tutto su azionisti, obbligazionisti e risparmiatori. Per evitare questa catastrofe l’unica strada possibile è l’immediata cancellazione, delisting, del titolo azionario dal listino di Borsa, per l’assoluta sproporzione fra valore e capitale a bilancio, e la nazionalizzazione di MPS, cui far seguire un rigoroso risanamento con indirizzi chiari da parte del Parlamento. Non c’è, infatti, alcuna possibile soluzione sul mercato privato, dove è impossibile trovare i cinque miliardi necessari per la ricapitalizzazione, per non dire dei dieci miliardi necessari per riassorbire i crediti deteriorati: nessuna banca italiana si può permettere l’operazione e se anche Credit Agricole fosse interessato all’acquisizione, gli converrebbe aspettare bail-in”.
Concludendo:
“La strada della nazionalizzazione è stata percorsa negli Stati Uniti Obama con Bank of America, in Gran Bretagna con la Royal Bank of Scotland, e per altre banche tedesche e francesi: mentre i paesi che sono stati colpiti dalla crisi post-Lehman Brothers provvedevano, infatti, a ricapitalizzare le banche, da noi non si è nemmeno abbozzato un piano e si continua con un ostinato pregiudizio ideologico sul ruolo delle Stato. Siamo passati in pochi decenni da un sistema prevalentemente pubblico a uno totalmente privato, senza alcun risultato per quanto riguarda il costo dei conti correnti, l’accesso al credito, l’efficienza dei servizi. Altresì un sistema sostenuto anche dalla finanza pubblica potrebbe favorire nuove politiche industriali, dallo sviluppo delle rinnovabili alla conversione ecologica delle produzioni, e ridare respiro a particolari settori, stimolando anche la concorrenza col privato. La nazionalizzazione è anche possibile con le nuove norme europee, attraverso uno specifico accordo tra il Governo e l’Unione Europea che autorizzi l’“intervento pubblico precauzionale”, contemplato dalla direttiva europea “Bank Recovery and Resolution Directive” sulle risoluzioni bancarie – cosiddette bail-in, senza che questo sia considerato aiuto di Stato. Dobbiamo evitare che al disastro si aggiunga disastro: un esito negativo della vicenda MPS potrebbe fare nuovamente implodere il sistema bancario italiano e scatenare una nuova crisi finanziaria globale”.
“La cessione a prezzi di svalutazione dell’istituto senese a un Gruppo estero è una possibilità concreta allo stato attuale e si tratterebbe di un passaggio che, oltre ad assestare un duro colpo alle possibilità di sviluppo del sistema economico toscano e nazionale, significherebbe da subito un grave rischio per gli attuali dipendenti dell’Istituto, circa 24mila unità tra diretti e indiretti a livello nazionale. Ora quindi il Governo Renzi deve dimostrare di non essere al servizio di JP Morgan, con il cui Presidente Renzi si consulta in incontri poco chiari e trasparenti in nome d’interessi privatissimi. Non si possono rimandare irresponsabilmente le decisioni e perdere tempo per non essere costretti a scelte difficili in piena campagna referendaria: Renzi così facendo sarà il responsabile della svendita a prezzi stracciati del terzo gruppo bancario a qualche speculatore straniero, della cancellazione dei risparmi di migliaia di persone e del credito vitale per pezzi della nostra economia”.
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