VIX E RISCHIO: COSA DEVE SAPERE CHI PUNTA SULL'AZIONARIO
Marcus Svedberg, capo economista di East Capital
La BCE ha annunciato e iniziato ad attuare un programma di acquisto di titoli di stato maggiore rispetto alle attese, la Fed ha convinto i mercati che non rialzerà i tassi fino a dopo l’estate, il prezzo del petrolio si è stabilizzato intorno ai 60 dollari al barile ed è stato firmato un accordo tra l’Ucraina e i separatisti, e tra la Grecia e la Troika. Inoltre, si è raggiunta dopo otto giorni di trattative la base per un accordo tra Iran e il Gruppo P5 +1; la Nigeria- il Paese più popolato dell’Africa – ha avuto il suo primo passaggio di poteri in maniera pacifica e democratica; inoltre non meno di 42 Paesi, inclusi anche alcuni Stati occidentali che prima erano titubanti, hanno fatto richiesta per diventare soci fondatori dell’Asian Infrastructure Investment Bank guidata dalla Cina.
Il diavolo si nasconde nei dettagli
Cosa significa tutto questo per gli investitori? Potremmo avere un periodo di calma relativa prima che un altro attacco di volatilità ritorni in pochi mesi. Lo stimolo della BCE sarà di aiuto, ma solo fino a quando la Fed non rialzerà i tassi. Gli sviluppi dell’industria del gas di scisto (shale) negli Stati Uniti e la situazione mediorientale – l’accordo con l’Iran, il conflitto in Yemen, l’incontro dell’Opec – avranno un impatto sul prezzo del petrolio verso l’estate, se non prima. Ma il primo trimestre è stato, nonostante tutto, di grande aiuto per gli asset rischiosi. Il VIX, indice di volatilità e un misuratore dell’avversione al rischio da parte degli investitori, è sceso per più del 20%, da 20 a 15, nel periodo gennaio-marzo 2015.
E tutto questo cosa implica per chi investe nell’azionario? La risposta dipende molto da quale valuta si usa come base, poiché il cambiamento più significativo nel corso del primo trimestre è stato un ulteriore indebolimento pari al 13% dell’euro rispetto al dollaro americano.
I mercati emergenti hanno guadagnato un 4% in termini di UDS, ma il 17% in EUR, mentre i mercati di frontiera sono rimasti quasi piatti in termini di USD. Alla luce di ciò, coloro che hanno guadagnato di più nel primo trimestre 2015 sono stati presumibilmente quelli che hanno investito in euro nei mercati emergenti.
Il rally dell’azionario cinese
Per i mercati emergenti ci sono state, come sempre, grandi differenze. Alcuni dei mercati più ampi come Cina e Russia hanno registrato una sovraperformance. Il mercato azionario cinese A-share ha guadagnato il 37,2% nel primo trimestre 2015, continuando così il rally iniziato sul finire del 2014, mentre l’indice H-share è salito del 23,6%. Il mercato russo ha chiuso invece il trimestre con un positivo 27,1% ed ha così iniziato a rimbalzare dai bassi livelli di dicembre, sebbene l’andamento del prezzo del petrolio fosse più o meno piatto.
La Grecia ha continuato tuttavia a offrire performance sotto la media, con gli indici scesi di un altro 4,6%. Anche la Turchia è stata debole, poiché gli investitori hanno iniziato a preoccuparsi per la sua situazione politica, e il mercato è sceso del 2,5%, per quanto la lira turca si sia in qualche misura rafforzata rispetto all’euro. Nello spazio dei mercati di frontiera, il mercato ucraino si è ripreso, ma ciononostante ha perso il 18,2% in termini di EUR a causa di una maggiore debolezza valutaria.
Per quanto riguarda la Nigeria e l’Iran, l’indice nigeriano a Lagos è rimasto in realtà piatto nel corso del trimestre, sebbene abbia registrato un rally di circa il 20% nelle scorse due settimane in termini di valuta locale (i risultati delle elezioni sono stati annunciati solamente nell’ultimo giorno del mese). La borsa di Teheran rimane inaccessibile per gli investitori internazionali, ma la speranza è che le sanzioni siano tolte nel corso di quest’anno, specie adesso che è stato raggiunto un accordo sul nucleare. Dovrebbe essere poi interessante vedere come il mercato, che lo scorso anno ha perso circa un terzo del suo valore, andrà nel corso del prossimo trimestre.
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