Nel tentativo di impedire un ‘no deal’ più di una trentina di parlamentari britannici sono pronti a ribellarsi. Decine di membri dei Tory finora leali al partito di governo minacciano di lasciarlo se non verrà aggiunto un accordo sulla Brexit. E anche all’Opposizione i malumori sono palpabili.
In un’intervista rilasciata alla BBC ieri, Andrew Percy, co-presidente del gruppo dei conservatori dissidenti che include sia personalità favorevoli che contrarie alla Brexit sin dai tempi del referendum di giugno 2016, ha lanciato il monito ai suoi.
I leader del gruppo parlamentare degli “insoddisfatti” dicono che valuteranno il passaggio a un’altra fazione se l’accordo rivisto da May non ottiene la maggioranza della Camera dei Comuni.
Sono per la verità più di 30 in totale i deputati inglesi che minacciano di bloccare un eventuale ‘non accordo’ (il cosiddetto ‘no deal’). Sembra infatti che decine di parlamentari del Labour, partito di centro sinistra all’Opposizione, siano anch’essi pronti a lasciare se non si invocherà un secondo referendum sull’accordo finale.
Lo scrive il quotidiano inglese The Times. Il partito di Jeremy Corbyn ha per la verità già subito delle defezioni, con alcuni esponenti che sono passati in un nuovo gruppo parlamentare indipendente (Independent Group).
Il governo May sostiene che sono in corso con una certa “urgenza” delle trattative “produttive” a Bruxelles. Queste hanno come obiettivo proprio quello di calmierare la situazione e allontanare le preoccupazioni dei parlamentari dissidenti.
Brexit, scenario no deal non è più da escludere
Lo scenario temuto – definito “disastroso” da diversi commentatori ed economisti – non è il più probabile al momento. Tuttavia non è nemmeno da escludere. Il tempo prima dell’attivazione dell’articolo 50 il 29 marzo scorre e il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker ha dichiarato ieri di non essere così ottimista sulle trattative.
Londra vorrebbe rinegoziare la parte dell’accordo stretto con l’UE che riguarda il backstop. Ossia una soluzione temporanea per rendere flessibile il confine tra le due Irlande. In caso di Brexit senza accordo, una dogana “dura” per il passaggio delle merci e la circolazione delle persone tra EIRE e Irlanda del Nord potrebbe provocare il caos. E generare perdite economiche ingenti.
Allo stesso tempo il partito protestante di destra nordirlandese, il Partito Unionista Democratico (DUP) che appoggia il governo di Theresa May, non ne vuole sapere di avere l’Irlanda del Nord che sottosta più alle regole europee che a quelle britanniche.
Se non cambia nulla nei prossimi giorni, il Regno Unito lascerà l’UE tra un mese. In assenza di un accordo sarà una Brexit dura e disordinata. Le autorità britanniche, anche alla luce delle minacce ricevute dai membri del proprio partito, faranno di tutto per evitare questo scenario.
L’UE non pare disposta a rinegoziare l’accordo già stretto, ma il governo britannico ha ancora un asso nella manica. Potrebbe prendere tempo, facendo slittare in avanti la scadenza del 29 marzo.
Donald Tusk incontrerà May a Sharm El-Sheikh nel fine settimana. Ma il presidente del Consiglio europeo ha già fatto sapere che “non ci sarà un’intesa nel deserto sulla Brexit”.