Edoardo Ginevra, condirettore Generale Cfo di Banco BPM, ha analizzato quanto sta accadendo nel mondo delle banche alle prese con le nuove esigenze delle imprese
La rivoluzione bancaria nell’ottica di Banco BPM parte dalla vicinanza ai clienti e agli imprenditori, una formula semplice ma che dimostra una lungimiranza importante.
Qual è la ricetta per ottenere la fiducia dei clienti?
“Forse le cose riescono quando la ricetta viene semplificata. Nel nostro caso, la banca ha la capacità di essere vicina e attenta ai bisogni dei clienti. L’ingrediente chiave è saper interpretare le esigenze principali e lavorare per soddisfare tali esigenze con una filiera corta, che riesce a dare risposte veloci, coinvolgendo figure titolate a prendere decisioni in un modello snello e non appesantito da possibili burocrazie. I nostri clienti sono abituati a un dialogo diretto con il vertice della banca”.
Quindi il vostro business model ruota principalmente attorno alle imprese?
“Il nostro è un modello che ti permette di servire bene le imprese, che rappresentano la spina dorsale dell’economia nelle regioni in cui siamo più forti, e lavorare sulle sinergie fra tutti i mondi che ruotano attorno all’impresa. Non è facile presentare un’operazione sulla base della sola redditività che può generare. Un’operazione di finanziamento spesso necessita di molto capitale e impegno per essere confezionata, e in questi casi è necessario garantirsi un’elevata redditività per generare valore. Allora, per creare valore, devi essere in grado di agganciare alle singole operazioni una relazione a 360° e un indotto di relazione a 360°”.
Come riuscite a coniugare l’attenzione ai clienti con il rispetto delle normative?
“Fare business nelle banche ti insegna a realizzare ottimizzazioni vincolate. L’ottimizzazione che cos’è? È redditività, generare certezze, creare valore per gli azionisti e tutti gli stakeholder. Vincolata perché in un business come il nostro basato sulla fiducia, sulla capacità di mantenere un rapporto fiduciario con i depositanti, è normale che ci sia una regolamentazione che premia il più possibile chi questa fiducia è in grado di mantenerla, imponendo requisiti minimi – i “vincoli” – in termini di capitale e di liquidità. In un quadro del genere, il settore è stato soggetto a un’onda lunga di regolamentazioni che soprattutto in Europa ha portato a diversi stravolgimenti. A partire dalla crisi finanziaria del 2008, in questi 16 anni non siamo stati fermi un attimo. Oggi, forse, siamo in vista di una maggiore stabilizzazione. Poi, però, tutto può cambiare in base a ciò che succede”.
Servirebbe trovare cigni bianchi anziché cigni neri, perché quando arriva il cigno nero poi cambiano le cose?
“Sì, ci sono state tante modifiche, tanti interventi sulla legislazione negli anni, però abbiamo anche raggiunto obiettivi molto importanti, che un tempo sembravano delle chimere, in termini di riduzione del peso degli Npl e, in generale, nel riportare i rischi della banca su livelli molto più gestibili. Ci sono tante minacce sul settore che vengono evidenziate dai supervisori. Per esempio, nel momento di picco, tra il 2015 e il 2016, quando l’Italia era al 16% di Npl. Oggi siamo su livelli compresi tra il 2 e 3%, quindi direi molto meglio”.
La crisi dei tassi più alti, l’inflazione, in qualche modo porterà ad un aumento di questi numeri al 4 o 5%?
“Quello che potrà succedere è un incremento dei tassi di default. Veniamo da quattro anni consecutivi di sistema bancario italiano con tassi di default all’1%. Un dato così è gestibile, vuol dire che non hai bisogno di un’enorme idrovora per svuotare il serbatoio che si riempie, ti basta regolare con attenzione le valvole di scarico e hai risolto. Ciò che possiamo aspettarci in questa fase è che l’1% possa aumentare in misura variabile tra l’1,2 e l’1,6% secondo i più pessimisti. Un numero comunque contenuto, che le banche sono in grado di smaltire”.
Facciamo un salto nel futuro: come cambierà il settore bancario nel nostro Paese?
“Forse aumenteranno i vincoli all’ottimizzazione, o meglio ce ne saranno di nuovi. Perché bisognerà includere nell’equazione anche gli obiettivi ambientali. Sarà importante introdurre nella gestione quotidiana la parte ambientale, facendo evolvere portafogli e banche. Questa è un’impronta corretta in un’ottica di lungo termine. Non dimentichiamoci che il futuro dipenderà anche dalla capacità del pianeta di rigenerarsi, di autoperpetuarsi, di intermediare e finanziare”.
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di maggio del magazine Wall Street Italia. Clicca qui per abbonarti