ROMA (WSI) – Papa Francesco invoca un impegno universale contro la povertà: lei ha identificato la battaglia per ridurre le diseguaglianze estreme nella società come la sfida cruciale della nostra era. Dunque, siete impegnati tutti e due su questi temi, ma il Pontefice che lei incontra oggi per la prima volta non sembra riconoscere il ruolo avuto dalla globalizzazione nella creazione di ricchezza anche in Paesi poveri, mentre gli Stati Uniti sono stati il principale motore di questo processo di internazionalizzazione delle economie. Che tipo di sforzo comune è possibile tra lei e il Papa? Quali risultati si propone di raggiungere nel mondo e negli Stati Uniti?
«Sono profondamente grato a Sua Santità per aver manifestato la volontà di ricevermi. Il Santo Padre ha ispirato le genti di tutto il mondo e anche me col suo impegno per la giustizia sociale e il suo messaggio di amore e compassione, specialmente per le persone che, tra tutti noi, sono più povere e vulnerabili. Lui non si limita a proclamare il Vangelo: lui lo vive. Siamo stati tutti colpiti e commossi dalla sua umiltà e dai suoi atti di misericordia. La sua testimonianza, il semplice fatto di andare sempre a cercare il contatto con gli ultimi, con coloro che vivono nelle condizioni più difficili, ha anche il valore di un richiamo: ci ricorda che ognuno di noi ha la responsabilità individuale di vivere in modo retto, virtuoso. Noi sappiamo che, vista la sua grande autorità morale, quando il Papa parla, le sue parole hanno un peso enorme. Questo è il motivo per il quale mi sono riferito a lui nel mio discorso sulle sperequazioni nella distribuzione del reddito.
«Negli Stati Uniti, negli ultimi decenni, abbiamo assistito a una forte crescita del gap tra i guadagni di coloro che hanno già i livelli di ricchezza più elevati e la famiglia media. È diventato anche più difficile per gli americani che lavorano duro risalire la scala del benessere e garantire una vita migliore alle loro famiglie. E questo non è di certo solo un problema degli Stati Uniti: è una questione che ritroviamo in molti Paesi di tutto il mondo. E non è solo un problema economico: al fondo di tutto c’è una questione etica. Io credo che, incalzandoci di continuo, il Papa ci metta sotto gli occhi il pericolo di abituarci alle sperequazioni. Di abituarci, cioè, a questo tipo di disuguaglianze estreme fino ad accettarlo come normale. È un errore che non dobbiamo commettere. Credo che questo sarà uno dei principali temi della nostra conversazione.
«Per quanto mi riguarda, cercherò di illustrare al Pontefice le iniziative che stiamo prendendo negli Stati Uniti per creare lavoro, aumentare i salari e i redditi complessivi e, in definitiva, aiutare le famiglie ad andare avanti. In giro per il mondo la globalizzazione e lo sviluppo dei commerci hanno contribuito in pochi decenni a portare centinaia di milioni di persone fuori dalla povertà. Ma il Papa ha ragione quando dice che questi progressi non hanno raggiunto un numero sufficiente di esseri umani, che troppa gente resta indietro. È per questo che ho promesso che gli Stati Uniti lavoreranno coi loro partner nel mondo con lo scopo di sradicare la povertà estrema entro i prossimi vent’anni e sono ansioso di ascoltare i pensieri del Papa su come possiamo vincere la nostra sfida».
Papa Bergoglio è un leader religioso che conduce le sue battaglie etiche senza avere rilevanti vincoli di governo. Il Pontefice ha pronunciato discorsi molto forti, ha usato parole potenti — il capitalismo senza scrupoli descritto come una nuova forma di tirannia — ma, al tempo stesso, è stato talmente umile da stupire il mondo dichiarando: «Chi sono io per giudicare?». Ora, se è vero che molte delle battaglie per promuovere il rispetto dei diritti umani e la dignità dell’uomo sono comuni a voi e alla Chiesa, è anche vero che in passato ci sono stati disaccordi profondi su diverse questioni, dalla contraccezione all’aborto. Considerato tutto questo, come può papa Francesco ispirare il leader del Paese più potente al mondo nel suo tentativo di definire una leadership americana basata maggiormente sulla prosperità economica e la difesa dei valori universali piuttosto che sulla forza militare?
«Una delle qualità che ammiro di più nel Santo Padre è il suo coraggio nel parlare senza peli sulla lingua delle sfide economiche e sociali più grandi che ci troviamo ad affrontare nel nostro tempo. Questo non significa che siamo d’accordo su tutte le questioni, ma sono convinto che la sua sia una voce che il mondo deve ascoltare. Lui ci sfida. Lui ci implora di ricordarci della gente: soprattutto della povera gente, la cui vita è condizionata proprio dalle decisioni che noi prendiamo. Lui ci invita a fermarci a riflettere sulla dignità che è innata in ogni essere umano. E, come abbiamo già avuto più volte modo di toccare con mano, le sue parole contano. Con una sola frase egli è in grado di focalizzare l’attenzione del pianeta su una questione urgente. Il Papa è in grado di spingere le genti del mondo a fermarsi a riflettere. E magari a rivedere certe vecchie abitudini: cominciare a trattarsi reciprocamente con maggiore senso della compassione e della dignità.
«Come presidente, una delle cose che ho cercato di fare è stata quella di riorientare la leadership americana. Abbiamo concluso la guerra in Iraq e concluderemo anche quella in Afghanistan alla fine di quest’anno. Man mano che ci allontaniamo da questo sfondo dominato dai confitti militari, ho posto una rinnovata enfasi sulla diplomazia. Credo lo si veda da un ampio ventaglio di iniziative, compreso il nostro negoziato sul programma nucleare iraniano e lo sforzo di creare le condizioni per una pace durevole in Terra Santa tra israeliani e palestinesi. Nessuna nazione è perfetta, ma la determinazione americana e i sacrifici dei nostri uomini e delle nostre donne in uniforme hanno aiutato a liberare nazioni dalla tirannia, difendere l’Europa durante la Guerra fredda e difendere in ogni parte del mondo i diritti umani universalmente riconosciuti dalle genti. In effetti sostenere questi valori universali e promuovere la prosperità economica sono elementi centrali della mia politica estera. Lavoriamo per incrementare gli scambi commerciali e gli investimenti che creano opportunità e posti di lavoro, sollevando molta gente dalla sua condizione di povertà.
«Il nostro sforzo sul fronte dell’agricoltura e della sicurezza alimentare punta a raggiungere entro un decennio l’obiettivo di sollevare 50 milioni di abitanti dell’Africa subsahariana oltre la soglia di povertà. E non c’è nessuna nazione che fa più degli Stati Uniti e in più parti del mondo, per riaffermare il valore universale dei diritti umani. La campagna aerea della Nato in Libia, tanto per fare un esempio, fu concepita per evitare il massacro di un numero immenso di civili. Il nostro vuole essere un impegno infaticabile affinché cresca il numero degli esseri umani ai quali vengono riconosciuti i diritti fondamentali, compresa la libertà religiosa».
In cinque anni alla Casa Bianca lei non era mai stato a Bruxelles. Ora ha appena concluso la sua prima visita all’Unione Europea. L’Italia assumerà presto la presidenza della Ue. Quali progressi nei rapporti Usa-Europa possono essere ragionevolmente conseguiti nel semestre a guida italiana? L’obiettivo di chiudere in tempi relativamente rapidi il negoziato per il Ttip, la nuova partnership transatlantica focalizzata sul «free trade» e gli investimenti, si è rivelato più arduo del previsto da raggiungere. E la forza dell’euro, che aiuta le esportazioni americane, rende la ripresa più difficile in Italia e nel resto d’Europa.
«L’incontro di ieri a Bruxelles col presidente Van Rompuy e col presidente Barroso è stato per me un’occasione preziosa per riaffermare i legami straordinari tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti. A tenerci uniti ci sono valori condivisi: i diritti universali dell’uomo, certo, ma soprattutto la consapevolezza che dobbiamo fare di tutto per difenderli in ogni parte del mondo. Rappresentiamo, insieme, la più grande rete di relazioni economiche del mondo e siamo partner nella gestione delle grandi questioni globali: che si tratti degli sforzi diplomatici con l’Iran o di lavorare per alleviare le sofferenze del popolo siriano o, come avviene in questi giorni, di affrontare la grave situazione che si è creata in Ucraina. Come ho detto a Bruxelles, credo che Stati Uniti ed Europa possano fare ancora di più, lavorando uniti, per migliorare le condizioni comuni di prosperità e di sicurezza. Confido nella presidenza italiana che inizierà in estate per raggiungere questi obiettivi. È di questo che abbiamo discusso l’altro ieri all’Aia col primo ministro, Matteo Renzi. Credo davvero che lui riuscirà a rendere molto produttivo il periodo nel quale l’Italia avrà questa importante leadership.
«Come lei ben sa, una delle nostre principali priorità, nel rapporto con l’Europa, è quella di concludere la Transatlantic Trade and Investment Partnership. Un successo della Ttip avvicinerebbe ulteriormente le nostre economie, renderebbe i nostri Paesi più competitivi nell’economia globale, spingerebbe la crescita e sosterrebbe la creazione di nuovi posti di lavoro. Un simile accordo si risolverebbe anche in sostanziali risparmi per i consumatori e nell’apertura di nuove opportunità per le imprese europee e americane, comprese quelle piccole e medie alle quali tengo molto e che so essere assai importanti per l’economia italiana. Al tempo stesso dovremo mantenere elevati standard di protezione dei consumatori, della salute e della sicurezza dei cittadini, delle condizioni di lavoro e della tutela dell’ambiente. La Ttip è, come diciamo noi, una “win-win opportunity”, un’occasione nella quale hanno tutti da guadagnare, l’Europa e gli Usa: per questo sono fermamente convinto che arriveremo in porto».
L’Italia presto ospiterà una manifestazione internazionale molto importante: l’Expo 2015. L’Esposizione universale offrirà l’occasione di presentare e discutere le sfide che il nostro pianeta deve affrontare: dall’utilizzo ottimale di risorse che sono sempre più limitate come l’acqua, alla protezione dell’ambiente naturale. L’Expo 2015 sarà anche un palcoscenico per promuovere il mangiare sano. Aggiungendoci, magari, un po’ di sapore italiano che so essere molto apprezzato dalla famiglia Obama. Proprio di recente gli Stati Uniti hanno deciso di svolgere un ruolo di rilievo nell’ambito dell’Expo di Milano.
«Il fatto che l’Expo si tenga proprio in Italia è un riflesso della forte leadership che l’Italia ha esercitato per molti anni nella lotta contro la fame e la malnutrizione. Trovo moralmente oltraggioso che nel 2014 ci siano ancora centinaia di milioni di persone nel mondo che soffrono l’ingiustizia di vivere senza abbastanza cibo per sfamarsi. Ecco perché quella di migliorare l’agricoltura e la sicurezza alimentare è diventata una priorità chiave negli sforzi dell’America di promuovere lo sviluppo globale. Abbiamo la possibilità di salvare una quantità innumerevole di vite. A Milano so che stiamo lavorando alacremente coi nostri partner per mettere insieme uno straordinario padiglione degli Usa che mostrerà le innovazioni promosse dall’America in varie aree, dalla sicurezza alimentare a una maggiore abitudine a mangiare cibi sani. Quest’ultima questione, come lei ben sa, ci sta molto a cuore, in casa Obama. Michelle ha fatto un lavoro straordinario per quanto riguarda la promozione di diete più equilibrate e di stili di vita più salutari, soprattutto per quanto riguarda l’infanzia. E, ovviamente, noi americani adoriamo la cucina italiana. Quindi ci aspettiamo che dall’Expo vengano fuori nuove idee e nuovi stimoli».
Il Mediterraneo. “La vostra leadership è benvenuta”.
Importante che la Tunisia sia stata il primo viaggio di Renzi Le primavere arabe sono finite male. La tragedia della guerra civile in Siria. La rivoluzione libica che ha portato al potere un governo che non riesce a controllare tutto il Paese. Gli Stati Uniti sembrano orientati a ridurre la loro presenza diretta nel Mediterraneo proprio mentre questa è divenuta di nuovo un’area fortemente instabile. In un mondo che è sempre più multilaterale, l’Italia e gli altri Paesi dell’area dovranno prendersi maggiori responsabilità in Libia, in Medio Oriente e perfino nella protezione delle rotte di accesso al Golfo Persico?
«Gli straordinari cambiamenti e le situazioni tumultuose del mondo arabo affondano le loro radici nel desiderio della gente comune di vivere con dignità e prosperità, decidendo del suo futuro. Fin dall’inizio io ho avvertito che qui non ci sarebbe stata la possibilità di percorrere un sentiero rettilineo. La guerra civile siriana e la morte di tanti innocenti, uomini donne e bambini, è una enorme tragedia. Gli Stati Uniti si sono impegnati con molta energia nello sforzo diplomatico per cercare di porre fine ai combattimenti, promuovendo una transizione nella quale i diritti del popolo siriano vengano rispettati. L’Italia ha, poi, giocato un ruolo vitale nella campagna aerea lanciata tre anni fa per proteggere il popolo libico. E ora l’Italia e gli Stati Uniti stanno lavorando insieme per migliorare le capacità di difesa del governo centrale di questo Paese, per addestrare le sue forze di scurezza e per migliorare i servizi di base che devono essere forniti al popolo libico.
«Tutto questo riflette il ruolo essenziale che l’Italia svolge nel Mediterraneo. L’Italia non solo contribuisce a un rilevante numero di iniziative di peacekeeping, ma guida anche la forza internazionale in Libano. E il primo ministro Renzi, scegliendo la Tunisia per il suo primo viaggio all’estero, ha mandato un importante messaggio circa l’impegno del suo Paese nella regione. Io ho detto ripetutamente che la situazione del mondo è migliore quando aumenta il numero dei Paesi che contribuiscono a garantire il mantenimento delle condizioni di pace e sicurezza a livello internazionale. Proprio per questo continuiamo a vedere come benvenuta la leadership dell’Italia nel Mediterraneo e oltre. Per quanto, poi, riguarda la presenza Usa nel Mediterraneo, voglio essere molto chiaro: non stiamo affatto pensando di ridurla. Anzi, il nostro coinvolgimento nel Mediterraneo sta crescendo, non si sta restringendo. Così come cresce la nostra partnership con l’Italia e gli altri alleati. Siamo molto grati al governo e al popolo dell’Italia per l’ospitalità che è stata data ai 30 mila americani in uniforme, uomini e donne, che sono basati nel vostro Paese assieme alle loro famiglie. Vorrei ancora ricordare che appena un mese fa la prima di quattro unità navali della classe Aegis (incrociatori lanciamissili dotati di efficacissimi sistemi di protezione antimissile, ndr) è arrivata in Spagna dove supporterà il sistema di difesa missilistica balistica della Nato e contribuirà ad altre missioni marittime nella regione. In aggiunta, di recente gli Stati Uniti e la Spagna hanno firmato un accordo che estende nel tempo ed espande il dispiegamento di una forza americana di risposta rapida a Moron, nella penisola iberica. Quindi credo che nessuno dovrebbe nutrire dubbi sul nostro impegno per la sicurezza di una regione che è così vitale per tutte le nostre nazioni».
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