Tassi di interesse in rialzo e banche centrali sulla strada della normalizzazione delle politiche monetarie mettono in difficoltà chi investe in obbligazioni. Cosa aspettarsi da questo mercato?
Mercoledì la Federal Reserve ha rialzato i tassi di interesse di 25 punti base portandoli nella fascia tra 0,75% e 1%. Un movimento atteso dal mercato, che ora guarda alle prossime mosse della Banca centrale americana. Due sono i rialzi attualmente scontati dal mercato nel corso del 2017 e due sono anche quelli previsti dai membri del Comitato di politica monetaria della Fed. Se questa tabella di marcia verrà rispettata a fine anno ci troveremo con i Fed funds tra 1,25% e 1,5%.
Ma non è solo la Federal Reserve ad aver avviato la politica di normalizzazione dei tassi di interesse. Pur non volendo dar retta alle indiscrezioni secondo cui la Banca centrale europea potrebbe rialzare i tassi prima della fine del Quantitative easing, ossia entro fine 2017, il ritorno dell’inflazione e il traino degli Stati Uniti hanno fatto sentire il loro effetto anche sulla curva dei tassi di interesse europei, sia governativi che corporate.
La bolla sulle obbligazioni non scoppierà
Lo scenario per il mercato obbligazionario (tassi di interesse in aumento) non è positivo. Ma, secondo molti analisti, non è nemmeno drammatico. Insomma, non si verificherà quello che è stato chiamato, con un termine foneticamente poco fortunato “Bondmageddon”.
“Non tutte le obbligazioni sono penalizzate dall’aumento dei tassi – scrive Luca Farrell, direttore degli investimenti nel reddito fisso di Capital Group – in particolare se questo avviene a un ritmo più lento del normale. Gli investitori obbligazionari si aspettano però un iter ben più graduale e il mercato dei future sconta solamente due rialzi dei Fed funds Inoltre negli ultimi anni la Fed ha spesso sovrastimato l’entità dei rialzi effettuati. Secondo i principi base della matematica delle obbligazioni –prosegue Farrell – a fronte di rialzi graduali molti fondi obbligazionari registrerebbero perdite riconducibili ai tassi molto ridotte, se non del tutto assenti. Prendiamo ad esempio l’Indice Bloomberg Barclays U.S. Aggregate, benchmark piuttosto diffuso nel settore. Considerandone il rendimento, la duration e altre caratteristiche alla fine del 2016 e tenendo costanti altri fattori, i tassi di interesse dovrebbero salire dell’1,3% (ossia oltre cinque rialzi da 25 punti base) nei prossimi due anni prima che gli investitori registrino una perdita. Si tratterebbe di un rialzo dei tassi addirittura maggiore di quello previsto dal mercato. Inoltre bisogna tenere in considerazione che l’aumento dei rendimenti fa salire la domanda di obbligazioni la quale, a sua volta, aiuta a evitare che i rendimenti salgano in maniera eccessiva o troppo rapida”.
In una situazione come quella appena descritta, detenere obbligazioni potrebbe avere un ruolo positivo di protezione del portafoglio, diversificando il rischio derivante da un mercato azionario che “è stato fortemente rialzista di recente” e ora potrebbe dover affrontare “incertezza sotto forma di rischio geopolitico e di incremento degli attriti a livello di commercio internazionale”.
Attenzione alla soglia del 3% per i Treasury
Per contro la situazione, per il mercato obbligazionario, diventerebbe ben più tesa (ma non solo per lui) se “l’effetto combinato delle azioni della Federal Reserve e delle politiche trumpiane, dovesse portare i rendimenti del decennale statunitense al di sopra del 3%” è il commento di Jeffrey Gundlach, amministratore delegato di DoubleLine e gestore di Nordea. In questo caso “i bond corporate ad alto rendimento potrebbero cadere in un buco nero di mancanza di liquidità”.