Roma – Il debito pubblico italiano tocca un nuovo record a gennaio. Stando ai dati contenuti nel Supplemento al Bollettino Statistico “Finanza Pubblica, fabbisogno e debito” stilato da Bankitalia, il valore è balzato a 1.935,829 miliardi di euro, in rialzo di 37,9 miliardi rispetto ai 1.897,946 miliardi registrati a dicembre 2011.
In una nota Bankitalia scrive che l’incremento del debito, “riflette principalmente l`accumulo delle disponibilità del Tesoro presso la Banca d’Italia (32,6 miliardi), che sono aumentate come avviene regolarmente in questo periodo dell`anno. A tale aumento si aggiunge il fabbisogno del mese (4,0 miliardi). Al riguardo, si ricorda che ciò che rileva, anche ai fini delle procedure europee, non è il valore assoluto, ma il peso del debito in rapporto al Pil”.
Sempre a gennaio, riferisce Bankitalia, il fabbisogno si è attestato a 4,0 miliardi, più dei 1,5 miliardi rispetto allo stesso periodo del 2011; ciò è attribuibile principalmente all`incremento della spesa per interessi e al pagamento della quota di competenza dell`Italia dei prestiti erogati dall`Efsf parzialmente controbilanciato dall`incremento delle entrate fiscali e dalla flessione della spesa primaria.
A dispetto del calo dello spread Italia-Germania, dunque, i numeri confermano il tallone d’Achille dell’economia italiana. Ma il debito sta divorando il mondo intero come dimostra un grafico pubblicato sul sito dell’Economist e allegato in pagina. Le aree colorate in rosso sono quelle in cui il debito è più alto; si vede chiaramente che il problema interessa l’Europa intera, gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone, l’Australia.
L’Economist mette in evidenza come il debito sia in costante crescita, per ogni secondo di tempo che passa. Certo, “dopo tutto i governi globali sono indebitati verso i loro cittadini, non verso i Marziani” Ma il valore complessivo totale è comunque preoccupante, se si considera che “negli ultimi anni il debito è salito a un tasso più veloce di quello della crescita economica, (situazione) che implica una maggiore interferenza dello stato nell’economia e tasse più alte in futuro”.
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