Quest’anno, il debito pubblico italiano salirà al 120% del Pil. Ma gli italiani dormono tranquilli. Un po`, ci hanno fatto l`abitudine: da 20 anni convivono col debito elevato. E un po` si sentono ripetere che Tremonti ha messo in sicurezza i conti; che abbiamo un sistema bancario a prova di stress test; e una ricchezza privata ben più grande del debito pubblico. Vedere i rendimenti dei Btp impennarsi 3 punti percentuali oltre quelli tedeschi, e i titoli bancari crollare, deve essere sembrato un incubo. Ma, ci hanno detto, in pochi giorni siamo riusciti ad approvare una pesante manovra fiscale che azzererà il disavanzo nel 2014. E giovedì l`Europa ha varato un “Piano Marshall per la Grecia” che riporta la tranquillità nell`Eurozona.
Meglio rimanere all`erta: lo status di nazione ad alto debito ci costringerà anche in futuro a camminare sul ciglio del baratro. La manovra appena approvata azzererà infatti il disavanzo pubblico nel 2014, ma ci lascerà comunque con uno stock di debito troppo elevato, esponendoci al rischio di una crisi di fiducia degli investitori. Nel prossimo triennio l`avanzo primario salirà fino al 4% del Pil (lo Stato incasserà 150 miliardi più di quanti ne spenderà, al netto degli interessi), ma il debito scenderà solo dal 120% al 116%-113% del Pil, a seconda delle previsioni: comunque troppo poco per sperare in un futuro tranquillo.
Colpa della bassa crescita: con gli oneri sul debito pubblico che pesano circa il 4%, e una crescita del Pil nominale a poco più del 3%, il rapporto tra debito e reddito aumenta anche se lo Stato non spende più di quanto incassa. Minore la crescita, maggiore l`austerità necessaria per mantenere lo status quo. Peggio quando l`avanzo primario, come nella nostra manovra, è ottenuto prevalentemente aggravando le imposte sul reddito, perché si incide ulteriormente sulla crescita. Deprimente, ma è così.
Per anni abbiamo potuto convivere con un debito pubblico così elevato perché, grazie all`euro e alla politica anti inflazionistica della Bce, che ne avevano ridotto il rischio percepito, abbiamo potuto collocarne ben 800 miliardi nei portafogli degli investitori esteri. La crisi greca ha però rivelato un`altra fonte di rischio: l`incapacità di trovare un accordo politico sulla distribuzione dell`onere dell`aggiustamento in caso di crisi di un paese dell`Eurozona.
Un rischio reso evidente da sedici mesi di vertici inconcludendi e accese discussioni per riuscire ad accordarsi su un paese piccolo come la Grecia. Così gli investitori hanno deciso di ridurre l`esposizione ai titoli di stato di tutti i paesi indebitati dell`Eurozona. E poiché siamo il maggiore esportatore di debito pubblico dell`area, ogni crisi di fiducia nell`euro colpisce i Btp, a prescindere dai nostri demeriti. Quello che in passato è stato un vantaggio (finanziare il debito all`estero grazie l`ombrello dell`Euro), è diventato un handicap. Almeno finché il nostro debito resterà stabilmente oltre il 100% del Pil.
Più che un “Piano Marshall per la Grecia”, quello di giovedì è stato un gigantesco assegno, staccato soprattutto dalla Germania, per scacciare in extremis lo spettro del crollo dell`euro: nuovi finanziamenti ufficiali per oltre 100 miliardi; riduzione al 3,5% del tasso su quelli vecchi ed estensione a 30 anni; interventi diretti dell`EFSF sul mercato a sostegno dei titoli di stato; finanziamenti illimitati della Bce a prescindere dal merito creditizio delle garanzie prestate; incentivi e moral suasion per far accettare alle banche una ristrutturazione “volontaria” da 40 miliardi del debito e un suo consolidamento.
Si è comprato, per ora, la tranquillità degli investitori, ma non si è risolto il problema della sostenibilità del debito pubblico. Specie di quello italiano.
Ha fatto impressione vedere il divario di rendimento dei Btp rispetto ai titoli tedeschi al 3,3%. Ma era lo 0,2% a inizio 2008 e da allora è sempre cresciuto.
Ieri ha chiuso a 2,56%: quasi 1% al di sopra del massimo toccato allo scoppio della crisi greca. Segno che la fiducia, gradualmente, si va erodendo. Non sarà facile riconquistarla. La manovra non basta. E siamo troppo grandi per far conto, in futuro, su un “Piano Marshall per l`Italia”.
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