ROMA (WSI) – Il part time è l’unica forma di lavoro cresciuta quasi ininterrottamente negli anni della crisi. Gli occupati part time sono oltre quattro milioni nel 2014, ma uno su due è involontario. È quanto emerge dal rapporto annuale dell’Istat.
I lavoratori part time rappresentano il 18,4% sul totale degli occupati; dal 2008, quando erano il 14,3%, sono cresciuti di 784 mila. Tuttavia, secondo l’analisi dell’Istituto, “più che rispondere a un`esigenza di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro degli individui, il maggiore ricorso al tempo parziale sembra essere stata una delle strategie delle imprese per far fronte alla crisi”.
L’incremento ha riguardato soprattutto quello involontario, scelto in mancanza di occasioni di lavoro a tempo pieno: la sua incidenza sul totale degli occupati a orario ridotto è cresciuta dal 40,2% nel 2008 al 63,6% nel 2014.
L’occupazione è aumentata dell’8,9% per anziani, donne e stranieri. nella fascia di età 55-64 anni anche per il rallentamento delle uscite verso la pensione mentre tra i giovani under 24 l’occupazione scende del 4,7%. In crescita tra gli stranieri, con 111 mila unità in più, e tra le donne che hanno visto un aumento dello 0,6%.
Il lavoro, in Italia, è un miraggio per quasi sette milioni di persone. In sei anni di crisi tra il 2008 e il 2014 oltre 800mila posti di lavoro sono andati perduti. I giovani pagano il prezzo più alto: nello stesso periodo gli occupati under 35 sono scesi di quasi 2 milioni (-27,7%) a fronte di un calo della popolazione nella stessa fascia di età di 947mila (-6,8%). Nel giro di sei anni il tasso di occupazione degli under 35 è sceso di 11,3 punti percentuali al 39,1% l’anno scorso.
I disoccupati di lunga durata sono oltre il 60% del totale e si allunga la durata media della disoccupazione: di 2,3 mesi nel 2014. Considerando il totale degli inattivi tra 15 e 64 anni l’esercito degli scoraggiati supera i due milioni.
Nel 2014 sono aumentate le persone interessate a lavorare, pur con un diverso grado di disponibilità e di intensità nella ricerca del lavoro. I disoccupati sono 3,2 milioni (+5,5% rispetto al 2013) e le forze di lavoro potenziali sfiorano i tre milioni e mezzo (+8,9%).
Intanto aumenta pure la fuga di cervelli. Secondo il rapporto annuale dell’Istat 3mila dottori di ricerca del 2008 e del 2010 vivono abitualmente all’estero e sono pari al 12,9% del totale. Un fenomeno in decisa espansione. La mobilità verso l’estero è superiore di quasi sei punti a quella registrata nella precedente indagine (7% dei dottori delle coorti del 2004 e 2006) ed è più accentuata per gli uomini (16,6%) in confronto alle donne (9,9%).
Migrano soprattutto i dottori di ricerca nelle scienze fisiche (31,5%) e nelle scienze matematiche o informatiche (22,4%) molto meno quelli con dottorato in scienze giuridiche (7,5%).
I paesi che attraggono maggiormente sono la Gran Bretagna (16,3%), Stati Uniti (15,7%), Francia 14,2%, Germania 11,4% e Svizzera 8,9%. I motivi che spingono gli italiani ad andare all’estero sono le maggiori opportunità di lavoro, più qualificato e meglio retribuito secondo l’85% degli intervistati.
In effetti il reddito è decisamente più elevato per chi lavora all’estero (750 euro in più per la coorte del 2008 e 830 euro per la coorte 2010).
Inoltre è maggiore la quota di coloro che trovano un’occupazione consona al percorso formativo svolto. Chi risiede in Italia trova un’occupazione in professioni intellettuali nell’85,2% dei casi per coloro che vanno all’estero la percentuale sale al 91,2%.