L’ultradestra populista di Geert Wilders esce sonoramente sconfitta nelle elezioni politiche olandesi. Secondo i primi exit poll, il suo partito perde quasi la metà dei seggi detenuti fino a oggi in Parlamento. Mentre sarebbe testa a testa tra i due partiti filo-europei: il partito liberale (Vvd) del Primo ministro uscente Mark Rutte è in vantaggio di un seggio sul partito laburista.
Il partito di Rutte è accreditato in prima battuta di 41 seggi (ne aveva 31), mentre i laburisti del PvdA salgono a 40 (ne avevano 30). Insieme i due partiti contano quindi 81 seggi (sui 150 della Camera olandese) e – seppure divisi da elementi programmatici – possono sulla carta dar vita a una maggioranza di govero filo-Ue. L’ultradestra populista di Geert Wilders (Pvv) scende da 24 a 11 seggi, in stallo i vetero-socialisti di Emile Roemer (Sp, 15 seggi).
Lo sconfitto di giornata, Geert Wilders, è un sostenitore dell’uscita dell’Olanda dall’eurozona e dall’Unione europea, mentre i liberali vogliono portare il deficit pubblico sotto la soglia del 3 per cento del 2013, come esige Bruxelles, grazie a un vasto programma di tagli di bilancio. I laburisti preferirebbero investire nel rilancio dell’economia. Malgrado queste differenza di posizione di fronte all’austerità, gli analisti danno per assodato che queste due formazioni politiche daranno vita a un’alleanza per formare la spina dorsale di un governo di coalizione europeista.
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Buone notizie per l’Europa dall’Olanda. I due maggiori partiti moderati e europeisti – i liberali e i laburisti – hanno sbancato le urne nelle elezioni politiche anticipate di oggi, mentre la destra populista ed euroscettica di Geert Wilders è crollata.
I primi exit poll assegnano una leggera prevalenza ai liberal-conservatori del Vvd del premier uscente Mark Rutte sul rivale diretto, il partito laburista PvdA del giovane e carismatico Diederik Samsom. Insieme, teoricamente, avrebbero un’ampia maggioranza, del tutto inattesa fino a stasera, per formare il prossimo governo. Dieci seggi in più ciascuno, 41 da 31 che ne aveva Rutte, e 40 da 30 che ne aveva Samsom, in un parlamento che conta 150 scranni. I due, se i dati saranno confermati, daranno vita una trattativa che potrebbe, a questo punto, escludere gli altri candidati: i democratici centristi del D66, accreditati alla vigilia come i più probabili junior partner di una futura coalizione, che comunque crescono da 10 a 12 seggi.
Perdono, come preventivato, gli alleati storici dei liberali, i cristiano-democratici (da 21 a 13 seggi), penalizzati dalla loro precedente alleanza con Wilders. Quest’ultimo, che in aprile aveva fatto cadere il governo nella speranza di cavalcare un’ondata antieuropeista (che non c’è stata) appare ormai del tutto marginalizzato (da 24 a 11 seggi), mentre gli euroscettici di sinistra, i socialisti dell’Sp, sotto la guida del focoso Emile Roemer non vanno oltre la conferma dei 15 seggi che già avevano. Fra gli altri partiti minori è crollata la Sinistra verde (Gl) (da 10 a 4 seggi), i cristiani uniti (da 5 a 4), mentre guadagnano i calvinisti ortodossi (Sgp)(da 2 a 3), fermi gli animalisti (2 seggi).
Tagliate le ali alle “estreme”, cresciuti tutti i partiti europeisti, appaiono dunque scongiurati i timori che il voto potesse far scarrozzare l’Olanda, Paese-colonna dell’euro, verso una deriva euroscettica o addirittura antieuropeista, com’era paventato solo poche settimane fa. Che avrebbe potuto creare un effetto-domino psicologico su altri Paesi, fra cui la Germania, che vota l’anno prossimo e che, come l’Olanda, rimugina nell’opinione pubblica un profondo scontento per l’enorme quantità di denaro che viene drenata per sostenere «l’indisciplinato» sud d’Europa. La crescita «fulminea» del PvdA di Samsom è stata frutto del suo programma di europeismo e austerità «sostenibili», che il suo carisma personale è riuscito a rendere credibile. Un carisma che gli olandesi hanno scoperto solo negli ultimi tempi, soprattutto nell’infinita serie di dibattiti e talk show televisivi fra leader politici, dov’è apparso competente, calmo, intelligente e sicuro di sè, rendendo credibile il suo programma al contempo realista e «sociale».
La crescita di Rutte viaggiava invece su un’onda più lunga, partita quando il suo governo cadde lo scorso aprile, facendolo apparire l’unico riferimento politico liberista e conservatore credibile dopo la traumatica uscita dalla maggioranza di Wilders e lo sfaldamento dell’ex alleato Cda. Rutte è sempre apparso serio e preparato e ha intelligentemente mantenuto una stretta connessione fra la coerenza del suo programma di riforme e tagli dolorosi e le necessità del Paese. Riuscendo a schivare così il malcontento nei confronti dell’Europa e le provocatorie accuse, fattegli soprattutto dalle due ali euroscettiche a destra e sinistra, di essere al servizio degli eurocrati o il galoppino della Germania di Angela Merkel: «Non faccio questo per Bruxelles, ma perché è un bene per la nostra economia», ha detto ieri sera Rutte nell’ultimo dibattito in tv. La forza dimostrata dai due partiti maggiori è ancora una volta segno che nella maggioranza degli olandesi, che eleggono con sistema proporzionale una pletora di partiti grandi e piccoli (erano 21 i simboli sulla scheda) e si fanno un’idea spesso all’ultimo momento, prevale quasi sempre un atteggiamento «razionale», tipico di un Paese ricco e tranquillo, abituato da sempre a stare unito piuttosto che a dividersi.