La cordata Fiat-Edf-banche lancia un’Opa a €2,82 su Montedison e €11,6 su Edison: la seconda in apertura si allinea al prezzo di offerta, la prima resiste ancora. Forse qualcuno ancora scommette che Mediobanca non abbia esaurito le sue cartucce e sia disposta a portare avanti quasi una “guerra santa” per non rinunciare alla Montedison, nonostante fonti industriali accreditino al fronte avverso già il 50% (e quindi la possibilità di nominare il management) e nonostante lo stesso governo si dimostri favorevole all’Opa?
Ma a parte le fondazioni, dimostratesi cavalieri bianchi in appoggio a Mediobanca, difficile immaginare quale imprenditore potrebbe essere sceso in campo a fianco di amministratore delegato di Mediobanca Vincenzo Maranghi e dove abbia reperito una forza di fuoco tale da poter contrastare i 40.000 mila miliardi di lire di linee di credito messe a disposizione della Fiat. Difficile immaginare in questo ruolo la famiglia Falck; e anche De Benedetti (con Energia Italia) non sembra propenso a fare il passo più lungo della gamba.
Escluso l’appoggio di Enel ed Eni, restano gruppi minori come Italcementi e Burgo, ma sono troppo piccoli e con attività core concentrate altrove per poter essere accreditati come appoggi credibili. E i famosi imprenditori bresciani sono già eccessivamente esposti per poter rappresentare una concreta minaccia.
Quel che è certo è che l’operazione Montedison getta un po’ di luce nell’oscuro capitalismo italiano, ma lo fa ancora una volta a discapito del piccolo risparmiatore: è probabilmente questo il consuntivo di questi mesi frenetici. Da quando le banche fecero mancare l’appoggio a Mediobanca in occasione della fusione Falck-Montedison e resero nota una spaccatura che apriva insperati scenari di contendibilità sulla holding di piazzetta Bossi, è stato davvero difficile per il piccolo risparmiatore capire le mosse e le contromosse del risiko bancario che si intrecciava con le interferenze politiche nazionali e comunitarie e con interessi poco velatamente dichiarati da parte della stessa Banca d’Italia. L’Opa su Montedison tuttavia potrebbe non essere la fine, ma solo il primo stadio di altri importanti movimenti. Vale allora la pena di cercare di capire dove concentrare l’interesse.
Il piccolo risparmiatore è rimasto e resta ancora sostanzialmente escluso dal primo stadio della partita. Mai è stato a conoscenza dei reali partecipanti alla contesa e del potere di fuoco di cui essi disponevano, per cui gli è stato davvero difficile stabilire il timing in cui entrare o uscire dal titolo. Per il TUS è noto che il prezzo dell’Opa dovesse tenere conto della media a un anno delle quotazioni e del prezzo massimo pagato dall’attore che lancia l’Opa stessa nel costruire la propria partecipazione: per cui già dalla discesa in campo della Edf (con una valorizzazione in carico della Montedison intorno ai €3) si poteva immaginare che il prezzo di una eventuale offerta sarebbe stato intorno ai €2,7-€2,8. Ma nel gioco di voci, mosse e contromosse, nonostante un flottante ridotto all’osso (si parla del 4% circa) e nonostante fosse noto che al di sopra dei €2,5 la Montedison era trattata a premio, diversi sono stati quelli che hanno continuato a scommettere sul titolo, comprandolo ancora venerdì scorso: salvo trovarsi con un’offerta a un prezzo inferiore del 16% all’ultima chiusura.
Alla fine la vittoria strategica andrà alla Fiat, che potrà così rifarsi dello smacco subito da Mediobanca in occasione dell’Opa mancata alla Telecom e del rinnovo del patto di sindacato; e alle banche a lei vicine, che vedranno valorizzate le partecipazioni e sanciranno la loro “vendetta” contro la gestione dittatoriale delle posizioni finanziarie di Mediobanca (prima fra tutti la sostituzione di Desiata con Gutty alle Generali). Per Mediobanca resta una ricca plusvalenza, ma un fallimento su tutta la linea come centro di controllo della finanza italiana: cosa che mette sotto i riflettori tutti i titoli della galassia.
Il fatto che Mediobanca si sia affrettata a blindare Fondiaria dimostra la rilevanza che in uno scenario ostile riveste pur anche quel 2% del capitale Mediobanca che la società assicurativa deteneva. Da parte di via Filodrammatici difficile prevedere, anche per i freni attuali della legge, altre operazioni oltre a quelle che hanno messo al sicuro Fondiaria e Dieci.
Impossibile a questo punto la sottrazione della Edison alla Montedison, parcheggiandola sotto un ombrello societario più sicuro. Per Fondiaria era da diverso tempo che il mercato scommetteva sulla creazione di un secondo mega polo assicurativo (alternativo a Generali) con un matrimonio con Sai: le attese sono state soddisfatte, ma a condizioni diverse da quelle sperate…e con ovvia penalizzazione di borsa. Ma oggi il centro dell’attenzione è ovviamente Edison, che con Sondel rappresenta il primo polo energetico privato di un mercato stimato sui €110 miliardi all’anno: con la potenza energetica che già fa capo al gruppo si può contare su circa il 25% del mercato italiano; ma la conquista di una genco metterebbe una seria ipoteca sulla leadership dell’Enel. L’obiettivo del gruppo è per una potenza di 14.000 megawatt, che farebbero perno intorno ai 6000 megawatt che già fanno capo a Edison. Senza contare poi i conferimenti in campo energetico della Fiat, che più che compensano la perdita delle centrali Burgo. L’Enel resta per altro impegnata in un difficile processo di diversificazione proprio nel momento in cui la Montedison dovrebbe puntare alla focalizzazione del core business energetico (non va trascurata anche la presenza nel gas che fa capo alla Edison con contratti in Russia, Libia, Qatar e Egitto): per cui una eventuale scelta di investimento nel campo energetico vedrebbe privilegiata nel picking Edison a discapito di Enel.
Difficile la situazione che si prospetta ora anche per le utility di minori dimensioni come Aem, Acea, Aem-To, che finiscono con l’essere sempre più costrette in un mercato che passa dal dominio di un gigante al co-dominio di due grossi player. Un po’ più critica rispetto al momento dell’approvazione del decreto anti-Edf la posizione della Cir, ennesimo concorrente con Energia Italia nella gara per le genco. Se in prima battuta poteva apparire come il terzo “che gode tra i due litiganti”, oggi viene messa di nuovo nell’angolo dalla forza degli altri gruppi. Mentre per quel che riguarda le realtà finanziarie alla resa dei conti il primo obiettivo sul quale concentrare l’interesse è proprio l’ennesimo gioiello di Mediobanca: Generali. La compagnia vanta infatti una struttura da public company e la fragilità dimostrata dal collante della holding riapre prospettive di contendibilità su questo titolo.
Lo scadere del patto di sindacato su HdP proprio in concomitanza con l’importante annuncio dell’Opa Montedison ha dato corpo ovviamente a diverse ipotesi che coinvolgano anche questa holding: tuttavia in questo caso Mediobanca e soci amici sarebbero in una posizione di forza (con oltre il 30% del capitale contro il 14.8% che ruota intorno alla Fiat) e rappresenterebbero una maggioranza di blocco difficile da superare.
Vincente dall’operazione esce ovviamente la Fiat: da tempo la società è orientata alla diversificazione (se non alla migrazione) verso attività a maggior valore aggiunto. La produzione energetica non solo completa, ma diventa polo aggregante delle attività di servizi verso le quali la società è orientata. La posizione finanziaria del gruppo per altro non ne risente, come testimonia la conferma di rating da parte di S&P. Per le banche che stanno sostenendo l’operazione c’è ovviamente la realizzazione di una grossa plusvalenza; ma soprattutto è stato rinsaldata quell’intesa che paradossalmente proprio Mediobanca aveva creato intorno ai destini delle Generali; superando rotture come quelle legate alla mancata Opa di San Paolo IMI su Banca di Roma.
Del resto che le banche ex-amiche non avrebbero fatto il gioco di Mediobanca e non avrebbero seguito il monito (moral suasion!) della Banca d’Italia lo si sapeva già dalla fine di maggio, quando al summit con l’allora ministro delle finanze Intesa, San Paolo e Banca di Roma ribadirono la natura non strategica della loro partecipazione e quindi la ricerca della creazione di valore. Per altro le banche avrebbero quantomeno dovuto difendere una posizione diversa di fronte agli azionisti: le azioni che essere hanno in portafoglio derivano dalla trasformazione dei crediti dell’ex Ferfin e corrispondono quindi a un prezzo di carico non molto distante da €1. E non va dimenticato che proprio le banche fecero venire meno l’appoggio determinante che aprì la breccia alla Montedison in occasione della fallita fusione Falck: banche che si sono a più stadi allontanate da via Filodrammatici, come dimostra il divorzio di Comit (ora Intesa) o la rottura determinata dalle nomine in Generali.
In tutto Montedison è stata valorizzata €4,95 miliardi; mentre per Edison il prezzo è stato superiore del 6,8% alla chiusura di venerdì, con una valorizzazione per €7,4 miliardi. Ma la linea di credito per €20 miliardi appare superiore alle necessità e quindi non sono di fatto escludibili ulteriori operazioni. I conti delle manovre intanto tornano a favore degli offerenti: lo spezzatino delle attività non strategiche (quelle cioè non energetiche) non dovrebbe essere troppo dissimile dalla massa debitoria che fa capo alla stessa Montedison (€3,3 miliardi): Eridania Baghin-Say varrebbe circa €1,3 miliardi e le altre partecipazioni circa €1 miliardo. In occasione dell’Opa Sondel espresse una valorizzazione poco discosta da €l miliardo e il 61% di Edison detenuto da Montedison vale circa €4 miliardi.
Ovviamente non tutto sarà rose e fiori: qualche difficoltà nel processo di dismissione potrebbe esserci per esempio nel mercato dello zucchero, che vede sulla scena europea la presenza residua di soli tre grandi gruppi e quindi nell’acquisizione potrebbero entrare considerazioni di monopolio.
Con un po’ di lungimiranza molto di quanto è accaduto poteva in parte essere previsto? Recentemente Edf aveva portato ad approvazione il proprio piano triennale nel quale era previsto, al fine di mantenere un ruolo di leadership nel mercato dell’energia e al contempo valorizzare gli asset e il portafoglio clienti, un progetto di espansione da €19 miliardi, con obiettivo, oltre a Germania e Gran Bretagna, anche l’Italia. La conferma delle mire espansionistiche la danno i recenti risultati della stessa Edf: controllo della tedesca EnBW, quota di rilievo nella Motor Columbus (azionista di riferimento di Atel), maggioranza di Hydrocantabrico e 100% di London Electricity (più altre società di produzione e distribuzione inglesi).
Del resto che la Francia fosse contraria alla rapida liberalizzazione del settore del gas e dell’energia (con delibera che risale al ’97) era già chiaro dal vertice di Stoccolma di marzo: la presa di posizione francese non ha fatto altro che dare conferma di una strategia volta a sfruttare la mancanza di reciprocità aperta dal fallimento della politica di dereguilation concordata e mal gestita dall’UE, fondando la propria forza su una rendita di quasi monopolio che si configura troppo facilmente assimilabile agli aiuti di stato. Ma di fronte a situazioni di questo tipo non esiste difesa dei risparmiatori che tenga.
L’Italia ha tentato una prima timida e incerta apertura al libero mercato, ma la sua inesperienza l’ha resa vittima di eventi che l’hanno travolta. Inoltre in questa fase di transizione sia il governo che l’imprenditoria italiana (fatta in questo tipo di realtà troppo spesso di manager pubblici) hanno dimostrato la propria incapacità di gestire il processo evolutivo: l’Italia, che ha portato avanti una scelta contro il nucleare importa dalla Francia (e quindi da Edf ) gli eccessi energetici che questa non riesce a smaltire sul mercato domestico e che sono prodotti proprio attraverso centrali nucleari! E oggi consente a un monopolista già di per sé in grado di produrre una volta e mezzo il fabbisogno energetico italiano di entrare da co-leader in questo strategico mercato.
Questa vicenda ha il solo merito di aver dimostrato ancora una volta il fallimento del connubio pubblico-impresa con una forma di capitalismo all’italiana definita giustamente da salotto. Con la morte di Cuccia troppi equilibri si sono rotti in una fase di timido approdo al libero mercato e ribaltamento degli equilibri, che potrebbero finire con il normalizzare la stessa Mediobanca a una banca invece che a una anomala holding.
*Donatella Principe è responsabile della ricerca economica presso il centro studi del Gruppo
Banca Popolare di Vicenza.
SULL’ARGOMENTO VEDI ANCHE:
OPA su Montedison: Speciale WSI