ROMA (WSI) – L’Arabia Saudita ha per caso cambiato idea sui livelli attorno ai quali i prezzi del petrolio dovrebbero oscillare? Dalle dichiarazioni ufficiali non sembrerebbe trapelare un cambio di rotta. Tuttavia, indiscrezioni segnalano come il collasso delle quotazioni del greggio sia stato alla fine una sorpresa, di quelle non particolarmente gradite, anche per il paese. La prossima settimana, dunque, in occasione del meeting dell’Opec, l’Arabia saudita potrebbe esprimere il desiderio di assistere a una stabilizzazione dei prezzi tra $60 e $80 al barile.
E’ passato quasi un anno da quando, alla fine del 2014, il Regno saudita disse che non avrebbe fatto più nulla per sostenere i prezzi del petrolio, stanco – come affermò il ministro petrolifero Ali al-Naimi – di tagliare la produzione solo per fare un favore ai paesi rivali (come gli Stati Uniti), consentendo loro di coprire a fronte di un prezzo di $100 al barile l’aumento dei costi. In quell’occasione, il ministro disse che anche se i prezzi “fossero scesi fino a $20”, l’Arabia Saudita- che è il principale produttore di petrolio dell’Opec- non avrebbe cambiato idea.
Così commenta la situazione attuale Natr Kern, analista presso la società di consulenza Foreign Reports, con sede a Washington:
L’Arabia Saudita “ha spiegato le sue ragioni e nessuno al mondo le ignorate. I prezzi sono scesi tuttavia a livelli molto più bassi di quelli desiderati e i tagli agli investimenti sono molto più forti di quanto si aspettasse”.
A sostenere il cambio presunto di strategia – ma la prova la si otterrà soltanto in occasione del meeting dell’Opec -, le parole del principe Abdulaziz bin Salman al-Saud, vice ministro petrolifero e soprattutto figlio del Re dell’Arabia Saudita che, in un discorso proferito a Doha di recente, ha avvertito che gli investimenti necessari per garantire al paese l’offerta di petrolio anche in futuro non possono essere effettuati “a qualsiasi prezzo”.
E, ancora, che le “cicatrici provocate da un periodo sostenuto di bassi prezzi del petrolio non possono essere cancellate facilmente”.
Lo stesso Naimi ha tra l’altro fatto notare la scorsa settimana che il mondo avrà bisogno di investire $700 miliardi nel corso del prossimo decennio per far fronte alla crescente domanda di petrolio, che dovrebbe segnare un incremento di almeno 1 milione di barili al giorno, in ogni anno.
L’Arabia Saudita sarebbe insomma pronta – o meglio costretta – a ribattere a quello che sembra essere diventato il nuovo mantra dell’industria petrolifera, ovvero lower for longer prices, dunque “prezzi più bassi per più tempo”. Amrita Sen della società di consulenza Energy Aspects di Londra sottolinea:
“I sauditi vogliono avvertire il mercato di non esagerare” con il mantra.
Gli ultimi dati dell’Opec mettono inoltre in rilievo che, dopo aver aumentato l’output al record di 10,6 milioni di barili al giorno a giugno (quasi 1 milione di barili al giorno in più rispetto alla media del 2014), l’offerta saudita è stata tagliata a ottobre a 10,3 milioni di barili al giorno.
Tale decisione sarebbe stata presa non solo per il calo della domanda interna. Il Regno è infatti in competizione con la Russia per diventare il principale rifornitore di petrolio della Cina; c’è poi anche la sfida con l’Iran, che si prepara ad aumentare le esportazioni di petrolio in attesa di assistere alla effettiva fine delle sanzioni. L’Arabia Saudita fa poi i conti anche con la competizione dell’Iraq, che ha esportato a livelli record sia in India che in Europa, mentre gli Stati Uniti potrebbero tornare a essere un mercato interessante e in crescita, complice la crisi che ha investito il settore del gas di scisto. A tal proposito, è bene segnalare che le esportazioni di petrolio saudita verso gli Stati Uniti sono scese del 29% in tre anni.
C’è infine l’esasperazione degli altri paesi membri dell’Opec, come Venezuela e Ecuador, che facevano fatica a far quadrare il bilancio già con un petrolio a $100, e che ora sono impantanati in una vera e propria crisi, visto che il ricavato della vendita di petrolio è essenziale per le loro entrate.
Così Ole Hansen di Saxo Bank:
“(L’Arabia Saudita non vuole che il petrolio scenda sotto $40 (quando Opec si riunirà), il prossimo 4 dicembre”. Secondo Hansen, il paese interverrà in modo “verbale”, come ha fatto in passato.
Per i funzionari sauditi, in ogni caso, prezzi compresi tra $60 e $80 sarebbero preferibili n quanto garantirebbero comunque la domanda di petrolio senza incoraggiare una offerta eccessiva da parte delle fonti alternative di energia.