NEW YORK (WSI) – Con le quotazioni del greggio che continuano a muoversi sotto la quota di 80 dollari al barile cresce la fronda dei paesi aderenti all’Opec che richiedono ad alta voce una riduzione della produzione per dare una spinta ai prezzi del petrolio, in vista della riunione del cartello il prossimo 27 novembre.
Anche il governo Kuwait che, fino a una settimana fa si diceva contrario alla riduzione della produzione, convinto che un aumento dei prezzi sarebbe comunque avvenuta, durante il fine settimana ha convocato una riunione d’urgenza per discutere eventuali misure da intraprendere per sostenere i prezzi del greggio. Secondo le previsioni, nel prossimo meeting l’Opec dovrebbe mantenere intatto lo status quo lasciando invariato a 30 milioni di barili il tetto giornaliero di produzione.
In prima fila, tra i paesi che spingono per la chiusura dei rubinetti spiccano Venezuela e Iran. Ieri il ministro iraniano del Petrolio, Bijan Namdar Zanganeh, ha accusato alcuni Paesi produttori di petrolio membri dell’Opec di accampare “scuse” per evitare di ridurre la produzione e di rilanciare in questo modo le quotazioni internazionali. “Certi Paesi hanno aumentato la produzione dopo l’uscita dal circuito di altri Stati produttori. Per loro è ora difficile ridurla con l’obiettivo di stabilizzare il mercato e inventano scuse per giustificare le loro azioni”, ha affermato Zanganeh, citato dall’agenzia Shana.
L’accusa è rivolta all’Arabia Saudita. La potenza sunnita rivale di Teheran nell’area del Golfo, di fatto capo dell’organizzazione dei paesi esportatori, ha aumentato la sua produzione nel 2012 compensare il calo delle esportazioni dovuto all’embargo petrolifero contro l’Iran. Nel Paese le esportazioni di petrolio sono diminuite da oltre 2,2 milioni di barili al giorno nel 2011 a circa 1,3 milioni attualmente. Recentemente, il presidente iraniano Hassan Rouhani ha denunciato “il complotto dei prezzi più bassi”, senza tuttavia nominare il paese o i paesi colpevoli.