Uno dei temi chiave del populismo consiste nel riprendere il controllo dei rapporti economici a vantaggio dei “comuni” cittadini. Questo processo comporta il cambiamento dei rapporti della bilancia commerciale, il ritiro dalle organizzazioni sovranazionali e multinazionali, lo smantellamento delle norme considerate a vantaggio dell’élite ed eventualmente anche l’utilizzo della politica monetaria per ragioni puramente interne.
Si tratta di interrompere i rapporti che hanno definito l’ordine economico mondiale negli ultimi decenni, le cui mancanze sono state portate alla luce dalla grande crisi finanziaria. Dunque non guardiamo alle elezioni europee, a Donald Trump e ai negoziati per la Brexit come a rischi meramente politici.
Ci troviamo in una nuova era e la politica rifletterà tali sviluppi. Ci sono profonde implicazioni per la crescita, i tassi di interesse e le imprese.
I possibili sviluppi sul mercato
In uno scenario che tende progressivamente verso politiche più populiste che privilegiano il nazionalismo alla globalizzazione, che ledono l’indipendenza delle banche centrali e che usano la politica fiscale in modo più aggressivo rispetto al passato per ridurre le imposte e finanziare grandiosi progetti, dovremmo probabilmente considerare i seguenti movimenti del mercato:
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rendimenti obbligazionari più alti e curve dei rendimenti più ripide, aumento della volatilità degli
spread cross-market laddove i paesi con un deficit delle partite correnti restano indietro rispetto
ai paesi con un avanzo di bilancio, -
volatilità dei cambi (dato che la svalutazione competitiva deriva dal desiderio di ottimizzare le
ragioni di scambio in un regime caratterizzato da dazi più elevati), incremento generalizzato
dell’inflazione, - sottoperformance delle multinazionali rispetto alle aziende locali,
- sottoperformance dei mercati emergenti (in particolare dei paesi deficitari o di quelli in cui gli
scambi con l’estero rappresentano una percentuale elevata del PIL), - sovraperformance dei settori collegati alle costruzioni,
- sottoperformance della tecnologia (soprattutto se c’è resistenza a sostituire i lavori manuali con
i robot), - sottoperformance delle imprese che operano nel settore dei viaggi poiché prende piede un
movimento anti-internazionalista, - ampliamento degli spread delle obbligazioni dei paesi periferici in Europa, emittenti di titoli high
yield che potrebbero inoltre risentire delle riforme sulla deducibilità degli interessi passivi, e così
via.
Poca chiarezza per le obbligazioni
Gli sviluppi maggiori sul mercato arriveranno laddove ci si allontanerà di più dagli attuali rapporti economici. Il ritiro degli Stati Uniti dagli accordi commerciali potrebbe essere compensato in termini di opportunità di investimento con una crescita economica locale più robusta.
L’uscita del Regno Unito dall’UE è chiaramente un fattore negativo per numerose imprese, ma molto dipende dal tipo di accesso che avrà il Paese al Mercato Unico, cosa succederà ai cittadini europei nel Regno Unito e ai cittadini britannici in Europa e in che misura si stabilirà un contesto normativo, per esempio nei servizi finanziari, che dia un vantaggio competitivo.