La più grande debolezza delle Banche Centrali è quella di aver tenuto troppo bassi i tassi di interesse per lungo tempo. A dirlo è il 35% dei 340 investitori istituzionali interpellati a livello globale nell’ambito del sondaggio condotto dal Durable Portfolio Reserach di Natixis Global Asset Management. Il 24% degli intervistati ha invece puntato il dito contro i prolungati programmi di quantitative easing, mentre il 12% sul coordinamento a livello globale che queste politiche hanno avuto.
Agli investitori istituzionali è stato anche chiesto di dare il proprio rating (da un minimo di una a un massimo di cinque stelle) alle singole Banche Centrali oggetto dell’indagine, ovvero la Federal Reserve, la BCE, la Bank of England e la Bank of Japan. La FED e la Bank of England hanno ottenuto i rating più elevati, ottenendo entrambe un rating medio pari a 3 stelle. La BCE ha invece ottenuto un rating medio pari a 2,7, mentre la Bank of Japan pari a 3,5.
Il fatto che questi giudizi si siano attestati in media alle 3 stelle, può riflettere il fatto che gli investitori istituzionali abbiano cambiato idea nel tempo sugli interventi adottati dalle Banche Centrali. Se le politiche innovative e accomodanti sono state ben accolte durante il periodo di crisi finanziaria, scongiurando il disastro, oggi sono considerate meno efficaci per sostenere la crescita. E’ un problema asimmetrico, e il consenso sembra essere quello che le banche centrali non hanno ancora trovato il giusto bilanciamento tra mantenere i tassi bassi per troppo tempo e alzarli troppo velocemente.
Fed pronta alla linea dura nel 2017
Il rialzo dei tassi della FED di ieri non è stato una sorpresa. Tuttavia, le modifiche al Dot Plot mostrano che la Fed possa adottare una linea un po’ più aggressiva per il 2017, in cui è possibile attendersi tre rialzi da 25bp ciascuno.
Non è stata una sorpresa nemmeno il fatto che questa mossa abbia frenato il rally del mercato azionario (almeno per un pomeriggio), con i rendimenti dei bond che sono cresciuti lungo la curva e con il rialzo del dollaro di circa un punto percentuale.
Le previsioni economiche mostrano anche modesti miglioramenti, sia per quel che riguarda il Prodotto Interno Lordo sia per le stime dell’inflazione. Tuttavia, le previsioni mostrano un tasso di disoccupazione in calo attorno al 4,5%, circa un punto percentuale in meno all’attuale livello (pari al 4,6%). Se la Fed dovesse continuare a ritenere che la crescita continuerà a guadagnare trazione, senza però che il tasso di disoccupazione scenda in modo significativo, è logico pensare che la pressione sui salari possa salire. Questi fattori indurranno la FED a rivedere le attese dell’inflazione, giustificando l’attesa per una linea meno accomodante.
Con il 35% delle probabilità, il prossimo rialzo dei Fed Fund Future dovrebbe verificarsi a marzo, in quanto febbraio è troppo vicino. Al momento, tre rialzi nel 2017 sembrano appropriati, anche se il consensus del mercato è per due rialzi. A meno che non ci siano sorprese dal lato dell’inflazione, quattro rialzi, o almeno uno per ogni meeting del FOMC, sono improbabili considerato che la Fed il più delle volte ha scelto di essere moderata quando ne aveva la possibilità.
Sebbene la politica fiscale resti al di fuori delle competenza della Fed (e la Yellen lo ha ribadito ieri in conferenza stampa) è chiaramente un elemento che la banca centrale deve considerare. Se gli stimoli fiscali saranno in grado di rafforzare la crescita e aumentare le aspettative di inflazione, la Fed potrebbe adottare una stretta monetaria più aggressiva.