Terminate, il primo marzo scorso, le Audizioni alla Camera per la conversione del decreto legge di riforma delle BCC, si rende necessaria, al fine di meglio comprendere le corrette dinamiche sottostanti al processo di riforma e le finalità che si intendono perseguire, un’analisi delle posizioni dei principali protagonisti della riforma che sono stati invitati dalla VI Commissione Finanze: Federcasse e Banca d’Italia.
Esaminando i documenti predisposti dai due enti, le sorprese non sembrano provenire dall’organismo di categoria, il quale ha, anzi, confermato la propria posizione a favore della holding unica obbligatoria e nel contempo è stato costretto a “gettare la maschera”, ossia svelare l’intero piano, particolareggiato e dettagliato, della riforma che aveva proposto e di cui le BCC non sono mai state portate a conoscenza (nonostante nella premessa del proprio documento di Audizione, Federcasse affermi, impropriamente e in modo scorretto, che da un anno “si è avviato un amplissimo dibattito interno – al quale hanno potuto partecipare tutte le BCC”).
Dal documento di Audizione di Bankitalia sembrerebbero emergere, invece, posizioni nuove ed aspetti che, ad una prima lettura, potrebbero apparire addirittura contradditori. In ogni modo, con le Audizioni è stato confermato che la proposta di riforma di Federcasse è frutto di un accordo con Banca d’Italia, mentre, in considerazione delle numerose richieste di modifica del DL avanzate dai due soggetti e delle diverse previsioni normative originariamente proposte e rigettate dal governo, qualche dubbio si pone proprio in relazione ai rapporti con quest’ultimo.
L’Audizione di Federcasse
Nonostante nel proprio documento di Audizione Federcasse () si sforzi ripetutamente di affermare che è stato accolto gran parte dell’impianto della proposta di riforma messa a punto nel corso del confronto tra Ministero dell’Economia e Banca d’Italia, numerosi e determinanti sono gli aspetti del DL n.18/2016 che la stessa (ma anche Bankitalia) non ha “digerito” e dei quali chiede con forza una modifica in sede di conversione in legge.
Sinteticamente, quelle che vengono definite criticità e che Federcasse vorrebbe rimuovere richiamando le diverse previsioni che erano state proposte (e stralciate dal governo), attengono a:
- a) Impossibilità di consentire la costituzione di Gruppi Bancari Cooperativi nelle regioni a statuto speciale. In realtà, sino all’Audizione, Federcasse si era sempre preoccupata solo della provincia di Bolzano mentre ora, stando a quanto scritto nel documento, sembrerebbe interessarsi anche a quella di Trento;
- b) Possibilità di non adesione al gruppo (la c.d. way out). Federcasse si sforza (inutilmente) di apparire democratica nel momento in cui afferma che, al fine di garantire la libertà di opzione nell’adesione al gruppo unico, le BCC possono trasformarsi in s.p.a. a condizione che devolvano tutte le riserve indivisibili ai fondi mutualistici, quindi impedendo, di fatto, la possibilità di uscita;
- c) Tempo concesso per l’esercizio della way out. Questo probabilmente è uno degli elementi che crea maggiori problemi a Federcasse. Lasciare 18 mesi di tempo alle BCC per potersi aggregare e raggiungere la fatidica soglia dei 200 mln. di patrimonio netto mette, in crisi i piani, evidentemente concordati insieme ad ICCREA Holding, la quale, tra l’altro, venerdì 4 marzo u.s., a margine dell’assemblea straordinaria convocata per le modifiche statutarie, ha annunciato di avere (finalmente) definito il proprio progetto industriale (che però non vuole rendere pubblico sino alla conversione in legge del DL) per candidarsi a svolgere il ruolo di capogruppo unica;
- d) Soglia minima per la costituzione della capogruppo s.p.a. Non soddisfatta del limite minimo di 1 mld. di Euro di patrimonio netto, Federcasse, pur di avere maggiori garanzie affinché non si riescano a costituire più gruppi, chiede che il limite venga parametrato al capitale sociale anziché al patrimonio netto;
- e) Mancata istituzione di uno strumento temporaneo tra le BCC che anticipasse gli effetti dell’adesione al gruppo “gulag”, così definito nella lettera manifesto sottoscritta da dieci direttori di BCC e dall’economista Marco Vitale. Questo aspetto merita un approfondimento particolare perché, oltre a costituire una innovazione ed una “scoperta” per gran parte delle BCC, rivela le vere intenzioni della riforma e giustifica il panico che si legge, da quando è stato approvato il DL, nelle facce di coloro che sono al vertice del credito cooperativo da oltre trenta anni. Federcasse chiede espressamente che venga reintrodotta la previsione normativa da loro proposta e che consentirebbe, nel periodo che intercorre tra la data di emanazione del DL e l’avvio dell’operatività della capogruppo (facente capo ad ICCREA Holding e, quindi, ai soliti noti), l’esproprio dei patrimoni delle BCC (virtuose) con eccedenze a favore di quelle deficitarie di patrimonio;
- f) Presenza di poteri limitati per la capogruppo nei confronti delle BCC aderenti al gruppo. In particolare, Federcasse chiede l’eliminazione dal DL della locuzione “comunque motivati ed eccezionali” quando si elencano i casi in cui la capogruppo può nominare, opporsi o revocare amministratori e sindaci delle BCC facenti parte del gruppo;
- g) Impossibilità di recesso dal gruppo da parte delle BCC. In questo caso, chiedendo di eliminare la previsione che impedisce il recesso dal gruppo, Federcasse sembrerebbe (finalmente) magnanima nei confronti delle BCC; tuttavia verrebbe spontaneo chiedersi dove potrebbe andare una BCC che recede dal gruppo unico obbligatorio strutturato secondo il modello “gulag”? Come a dire che agli ebrei portati nei campi di concentramento venisse concesso il diritto di suicidio; h) Mancata previsione relativa alla sorte delle strutture associative del Credito Cooperativo. Tutte quelle BCC che da tempo si chiedono quale fine avrebbero fatto le federazioni regionali e quella nazionale a seguito della riforma, certamente non hanno ancora trovato una risposta, ma indubbiamente hanno preso coscienza che il progetto di riforma targato Federcasse prevedeva, comunque, una loro “sistemazione” della quale il governo non ha tenuto conto.
L’Audizione di Banca d’Italia
E’ difficile analizzare e commentare il documento redatto da Banca d’Italia in occasione dell’Audizione tenuta da Carmelo Barbagallo il primo marzo scorso dinanzi alla VI Commissione Finanze della Camera, anche perché, in generale, suscita sempre un certo imbarazzo immaginare di incorrere nel rischio di critica nei confronti dell’organo di vigilanza.
Non è un caso che, al momento, non risultino ancora commenti pubblici al riguardo. Tuttavia, se si confronta il predetto documento con quelli pubblicati, sempre a firma di Carmelo Barbagallo e sempre in tema di riforma delle BCC, il 15 ottobre 2015 relativamente all’Audizione tenuta dinanzi alle Commissioni riunite di Camera e Senato, ed il 12 febbraio 2015 a Bolzano presso la sede della Federazione Raiffeisen dell’Alto Adige, qualsiasi attento lettore non può non essere assalito da un certo sconcerto e stupore.
Bankitalia, dopo aver affermato, per circa 10 mesi, la necessità di costituire più gruppi cooperativi paritetici, anche al fine di non incorrere in rischi di legittimità costituzionale (vedasi in particolare a pag. 8 del documento di Audizione del 15 ottobre 2015), modifica sostanzialmente il proprio orientamento introducendo, per la prima volta, il concetto del gruppo unico e riformula le proprie considerazioni circa i rischi di coerenza con il dettato costituzionale, prima legati alla corretta dimensione della soglia minima di capitale delle capogruppo ed ora circoscritti alla sola way out prevista nel DL n. 18/2016.
Per un’analisi comparativa puntuale è sufficiente confrontare quanto riportato alle pagg. 5 e 12 dell’ultimo documento di Audizione con il contenuto dei due precedenti interventi. Inoltre, da un’analisi sommaria dell’ultimo documento di Audizione sembrerebbero riscontrarsi contraddizioni anche nel medesimo documento.
Ad esempio, nel paragrafo che tratta delle motivazioni e finalità della riforma di cui all’ultima Audizione, si dice che le BCC (pag. 3) sono “caratterizzate da dimensioni contenute e da una operatività concentrata in ambiti territoriali ristretti” che la “capacità delle BCC di ricapitalizzarsi rapidamente è limitata dalle contenute dimensioni, dall’elevata frammentazione del comparto e dai vincoli connaturati alla forma cooperativa, in primo luogo il voto capitario e i limiti al possesso azionario, che condizionano la capacità di attrarre investitori e di accedere al mercato dei capitali”, per poi concludere (da pag. 11 a pag. 15) con una certa avversione contro le possibili fusioni e aggregazioni che dovessero attuarsi tra varie BCC allo scopo di raggiungere la soglia minima di patrimonio netto richiesta per la trasformazione in società per azioni, con tanto di velata minaccia in termini di autorizzazione che Bankitalia potrebbe non concedere ai sensi dell’art. 57 del TUB e richiamando il concetto (altre volte dimenticato) di sana e prudente gestione.
Inizialmente non si comprende, o meglio si comprenderà nel prosieguo, per quale ragione non si potrebbe creare un gruppo unico di BCC costituite esclusivamente da banche cooperative a mutualità prevalente di piccole e medie dimensioni, cioè di omogenee dimensioni, ed in cui le grandi (e la mastodontica) si siano trasformate in società per azioni aventi dimensioni addirittura superiori a molte banche s.p.a. attualmente operanti nel settore bancario italiano.
Certamente un gruppo unico omogeneo avrebbe maggior senso rispetto ad un gruppo unico costituito da una “accozzaglia” di BCC aventi dimensione e caratteristiche completamente diverse ed il cui comun denominatore sarebbe rappresentato esclusivamente dalla forma giuridica di società cooperativa a mutualità prevalente. Solo se le finalità della riforma fossero diverse da quelle sino ad ora prospettate, si riuscirebbero a comprendere, sia le contraddizioni insite nel documento di Bankitalia, che i nuovi orientamenti emersi nell’ultima Audizione.
Inoltre, si spiegherebbero anche le comuni richieste di modifica del DL di riforma provenienti da Federcasse e dall’organo di vigilanza. Va precisato, infatti, che le richieste di modifica inoltrate da Federcasse coincidono esattamente con quelle avanzate da Bankitalia per quanto riguarda i sopra elencati punti a), b), c), d), e) e f) riferiti a Federcasse, con l’aggiunta di due specifiche richieste dell’organo di vigilanza attinenti:
- alla possibilità di poter autorizzare, per ragioni di stabilità, le BCC a scendere sotto la soglia della maggioranza del capitale della capogruppo, e
- alla possibilità, per una BCC, di fondersi con una banca popolare. In effetti, da una lettura più attenta dell’ultima Audizione di Bankitalia, sembrano emergere alcune nuove finalità che tendono a porre le precedenti in secondo piano e sulle quali vale la pena soffermarsi.
A pag. 2 si dice che “Le diverse misure di intervento ricomprese nel decreto convergono verso il comune obiettivo di rafforzare la stabilità del sistema bancario e la sua capacità di sostenere l’economia”, ma è, soprattutto, a pag. 5 che l’organo di vigilanza enuncia le reali motivazioni per le quali invoca la riforma delle BCC:
“Nel nuovo quadro normativo per la risoluzione e gestione delle crisi previsto dalla Direttiva 2014/59/UE (Banking Recovery and Resolution Directive, BRRD) e con l’avvio del Meccanismo unico di risoluzione delle crisi nell’eurozona (Single Resolution Mechanism, SRM), le situazioni di difficoltà non sarebbero facilmente gestibili, per banche di questa natura e dimensione. E’ bene ricordare che l’applicazione di misure di risoluzione e l’impiego delle risorse del Fondo di risoluzione per fronteggiare i costi di una crisi sono previsti soltanto quando vi sia un interesse pubblico, segnatamente l’esigenza di preservare la stabilità del sistema finanziario.”
A prescindere dalla valutazione del successo dell’operazione di “salvataggio” delle 4 banche e dalla capacità del Fondo di risoluzione di risolvere le crisi (sulla quale la stessa Bankitalia probabilmente nutre qualche perplessità dal momento che ha già fatto sapere che occorrerebbe rivedere il meccanismo del bail in), non si comprende per quale ragione una holding costituita da BCC (omogenee) di piccole e medie dimensioni non potrebbe attingere al Fondo di Risoluzione nella denegata ipotesi di difficoltà della stessa capogruppo, dal momento che, oltre al gruppo, addirittura molte BCC aderenti al gruppo avrebbero dimensioni superiori di alcune delle quattro banche “salvate”.
Non si comprende neanche per quali ragioni Bankitalia manifesti forte preoccupazione per l’ipotesi di un’eventuale abbassamento della soglia minima di patrimonio netto richiesto per la way out (vedasi pag. 13 dell’ultimo documento di Audizione Bankitalia); a detta dello stesso organo di vigilanza
“le BCC con patrimonio superiore a 100 milioni rappresentano quasi il 40 per cento della categoria in termini di totale attivo. Di fatto, la way-out potrebbe essere un’opzione a disposizione degli intermediari dotati di più elevati margini rispetto ai coefficienti patrimoniali obbligatori. Gli intermediari più fragili, incapaci di sopravvivere autonomamente dopo la corresponsione dell’imposta straordinaria, non avrebbero viceversa alternative all’adesione ad un gruppo cooperativo paritetico.”
Delle due l’una: o si sta dichiarando che i problemi e le difficoltà delle BCC interessano quasi esclusivamente quelle di grandi dimensioni, e allora si dica chiaramente che le piccole e medie BCC devono soccorrere le grandi entrando obbligatoriamente nella holding unica governata da quelle in difficoltà, oppure vi sono altre ragioni per le quali Bankitalia non ha più interesse che vi sia una consistente riduzione del numero totale delle attuali 363 BCC con licenza bancaria (fino a poco tempo fa, immaginare di avere 150/200 BCC e le altre raggruppate in 15/20 s.p.a., sembrava una soluzione altamente auspicata da Bankitalia).
Conclusioni
A prescindere da ogni considerazione tecnica, è evidente che, nonostante il giudizio complessivamente positivo fornito da Federcasse e Banca d’Italia sul DL di riforma, le Audizioni hanno confermato il difficile rapporto tra le due autorità, di governo e di vigilanza. In ogni modo, se la riforma non deve servire per risolvere i problemi (di governance, innovazione, efficienza e rafforzamento patrimoniale di alcune) delle BCC, ma solo a risanare i bilanci di quelle in difficoltà e le “poltrone” di chi le ha amministrate, non è necessario, né opportuno, obbligare le BCC a far parte di una “accozzaglia” di banche disomogenee, tra l’altro governate proprio da coloro che hanno mal gestito le proprie banche (ed i cui amministratori, per gran parte, sono stati pure sanzionati da Bankitalia).
Altre modalità di risoluzione delle crisi su base volontaria o obbligatoria possono essere individuate ed applicate a favore delle BCC in difficoltà, tenendo conto, tra l’altro, che sino ad oggi il credito cooperativo ha sempre risolto al proprio interno le difficoltà delle proprie banche, senza chiedere un centesimo al resto del sistema bancario, e, per contro, ha contribuito al salvataggio delle 4 banche non appartenenti al sistema del credito cooperativo. Infine, se appare comprensibile che Federcasse faccia del tutto per “salvare” se stessa proponendo una riforma che non ha condiviso con i diretti interessati (le BCC), lascia perplessi che l’organo di vigilanza intenda punire proprio chi ha sempre operato in base al principio della sana e prudente gestione e che non tenga conto degli effetti che si potrebbero produrre in capo ai depositanti delle BCC virtuose obbligate ad aderire ad una holding unica allo scopo di risolvere i problemi di banche operanti in altre regioni, atteso che, come riconosciuto anche in sede UE, le BCC sono considerate principalmente banche di deposito.
Perché tutti i promotori della riforma, piuttosto che preoccuparsi esclusivamente di “ingabbiare” le BCC aderenti al gruppo, non hanno, ad esempio, previsto che nella determinazione della governance della capogruppo non hanno diritto di voto le BCC che non raggiungono determinati requisiti di solidità patrimoniale o quelle i cui esponenti hanno ricevuto sanzioni negli ultimi x anni?
In considerazione di quanto sopra, appare evidente che, solo la possibilità di creare più gruppi omogenei (anche su base regionale o interregionale), insieme alla diminuzione della soglia minima richiesta per la way out e all’introduzione di appropriati concetti di meritevolezza in seno alla capogruppo, potranno risolvere le questioni di legittimità costituzionale ed i reali problemi delle BCC e del Paese.