Se il comunicato dell’ultimo FOMC ed i recenti numerosi interventi dei membri della FED hanno riportato fortemente di attualità la prospettiva di un aumento dei tassi di interesse in dicembre, il tassello definitivo potrebbe essere arrivato dai dati sul mercato del lavoro diffusi venerdì scorso.
L’employment report del mese di ottobre è stato robusto su tutti i fronti: nuovi occupati, aumento dei salari e calo dell’incidenza dei lavoratori part-time per motivi economici. E’ significativo notare come i lavoratori a tempo pieno siano cresciuti a 122 milioni durante ottobre, leggermente sopra il record del novembre 2007.
A questo punto, a poco più di un mese dal prossimo FOMC (16 dicembre), l’impressione è che dovrebbero arrivare sorprese negative rilevanti per far cambiare idea a Janet Yellen (la probabilità di aumento dei tassi implicita nella quotazione dei futures sui FED Funds ha superato il 70%).
Restiamo dell’idea che l’avvio del rialzo dei tassi non sia comunque destinato a modificare il trend di medio periodo dei mercati ed anzi ribadiamo l’impressione che il venire meno del “tira e molla” sul primo rialzo possa essere accolto con sollievo dagli operatori.
D’altra parte, se temporalmente la fase di espansione dell’economia americana si colloca già su livelli elevati rispetto al passato, il ciclo di recupero partito nel 2007-2008 presenta delle peculiarità che dovrebbero allungarne la durata. La principale differenza rispetto ai cicli precedenti è rappresentata dalla cautela che ha caratterizzato numerosi “attori” della scena economica per tutta la fase di ripresa, a partire dai Banchieri Centrali, passando per i manager aziendali, per arrivare agli investitori.
Una cautela che sarebbe da attribuire a quello che lo strategist Yardeni ha definito PTSD, il “Post Traumatich Stress Disorder” generato dalla peggior crisi finanziaria-economica dal ’29, che ha portato i Banchieri Centrali ad essere molto cauti nel rimuovere le politiche monetarie accomodanti, i manager delle aziende ad essere estremamente prudenti nell’espandere la capacità produttiva ed, infine, una quota rilevante degli investitori a non abbandonare lo scetticismo anche nelle fasi di incremento dell’esposizione agli asset rischiosi.
In questo contesto, il principale fattore da monitorare per valutare il livello di nervosismo dei mercati finanziari in merito alla prospettiva del rialzo dei tassi è la tenuta dei mercati emergenti, anche perché già sotto pressione per il rallentamento dell’economia.
Con riferimento a quest’ultimo il sorvegliato speciale resta la Cina, dove:
– da un lato prevalgono ancora indicazioni deboli a livello di dati consuntivi (vedi l’andamento decisamente negativo per export ed import);
– dall’altro iniziano ad emergere segnali di stabilizzazione, se non di miglioramento, dagli indicatori anticipatori (gli indici PMI non ufficiali hanno riavvicinato quota 50).
Nel complesso riteniamo prevalgano ancora gli elementi a supporto della nostra visione costruttiva sulle Borse e della nostra preferenza per l’Europa (dagli indicatori anticipatori continuano ad arrivare segnali di ripresa dell’economia europea, anche se i dati reali fanno un po’ fatica a confermare le aspettative).
Bisogna comunque considerare che sul breve termine l’aspettativa di rialzo dei tassi può agitare un po’ i mercati, anche perché più vulnerabili dopo il repentino recupero dell’ultimo mese (in un’ottica di breve termine primo livello significativo da monitorare è l’area 2060-2040 di S&P500).