Ormai è chiaro che l’Isis è in guerra con il resto del mondo. Questa organizzazione, dalla composizione totalmente eterogenea, nata con l’assenso degli Stati Uniti (come ammettono molti componenti della CIA), ha compiuto a Parigi una strage impressionante per ferocia, determinazione e organizzazione militaristica. La struttura criminale ha tra le sue fila volontari provenienti dall’Europa e dal resto del mondo e riesce a colpire ovunque, seminando insicurezza e terrore in modo indifferenziato.
L’interrogativo che in tanti si pongono in questo particolare momento storico riguarda le modalità con cui combattere tale tipologia di terrorismo. Sul punto ho un’unica certezza: la lotta al terrorismo non può farci rinunciare alle nostre libertà. Non dobbiamo consentire la riduzione dei diritti e delle libertà, in nome di una sicurezza per di più incerta. Se tutto ciò avverrà, allora noi europei avremo perso in partenza la nostra sfida con il terrorismo, poiché diverremo prigionieri di noi stessi, incarcerati nella nostra vita quotidiana.
La battaglia contro un nemico simile può essere vinta restaurando le necessarie condizioni di tranquillità e sicurezza, ma con minime limitazioni ai nostri diritti fondamentali. In primis, e in questo caso parlo soprattutto dell’Italia, occorre far funzionare al meglio il sistema giustizia e gli strumenti penali ad esso indispensabili.
È necessario più intelligence, più utilizzo di fonti infiltrate, con tutti i rischi che ci sono in azioni di questo genere. L’azione di prevenzione a mio giudizio deve essere prevalente su quella repressiva. L’Isis per vivere e per fare proselitismo ha bisogno di essere al centro della scena internazionale ed ha compreso che il nostro modello di informazione è disastroso ed offre loro ciò che cercano, dunque, noi dobbiamo impedire che ci usino per i loro biechi scopi.
Non dobbiamo dimenticare che le cellule dormienti sono numerose e sono già presenti sul territorio da anni, e incominciano ad usare anche le tecnologie del cyber-terrorismo. Come abbiamo potuto vedere tutti gli attentatori, per la maggior parte, sono persone che sono cresciute con noi, al nostro fianco e che sono sfuggite sia al controllo interno che a quello delle comunità islamiche. Per quanto mi riguarda, sono nettamente contrario al fatto di continuare ad alimentare l’odio razziale, incivile e populista, affermando che bisogna cacciare gli immigrati, poiché il terrorismo non è colpa loro ma dei fondamentalisti che vogliono, il terrore, il caos e le reazioni istintive.
L’ultima osservazione per lottare questi criminali riguarda il profilo educativo e culturale. Perché l’educazione, la razionalità e la conoscenza di questi fenomeni aberranti sono la migliore arma contro chi usa la violenza e il terrore soprattutto verso i più deboli. Il fenomeno si può combattere adeguatamente, il problema è che siamo nelle mani di una politica incapace e di media che ci fanno ascoltare o vedere quello che vogliono.
Dal 20 ottobre scorso a oggi, i raid aerei hanno provocato circa 5.500 morti di cui 1122 sono minori e 30.000 sono i feriti tra i civili. I morti attribuibili all’Isis sono circa 2600. Se questi sono i risultati dell’azione repressiva, non mi trovano e non mi troveranno mai d’accordo. Penso che sia giunto il momento di mettere da parte l’orgoglio di appartenenza e fare una politica “seria” e unitaria necessaria per affrontare e risolvere i veri problemi che affliggono la società contemporanea.
La violenza genera sempre altra violenza e non è mai la soluzione ai problemi di questo tipo. Alle barbarie dei terroristi non si risponde con le barbarie degli Stati (cosiddetti) civili ma trovando e punendo i mandanti e i finaziatori di questi gruppi criminali. Purtroppo questa è una via difficile da seguire!