- L’amministrazione Trump ha impresso un’accelerazione alla guerra commerciale con la Cina all’inizio di quest’anno annunciando dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio
- Secondo le stime di consenso, le tariffe doganali rallenteranno la crescita statunitense dello 0,2% circa
- Anche se il mercato sembra aver concluso che gli Stati Uniti sono in una posizione più forte rispetto al resto del mondo sul fronte dei dazi, questi saranno una fonte di persistente volatilità sui mercati
All’inizio dell’anno l’amministrazione Trump ha imboccato la strada dell’aumento dei dazi nei confronti della Cina con l’annuncio di tariffe doganali sulle importazioni di acciaio e alluminio e dazi ex Section 301 su USD 50 miliardi di importazioni cinesi.
Quindi, il 24 settembre, Washington ha introdotto ulteriori dazi su altri USD 200 miliardi di merci cinesi. Riteniamo probabile una continuazione di questo processo, che nei prossimi mesi potrebbe condurre all’imposizione di dazi su tutti i prodotti di provenienza cinese.
Secondo le stime di consenso, le tariffe doganali rallenteranno la crescita statunitense dello 0,2% circa. Anche l’impatto sull’inflazione sarà verosimilmente gestibile, ma nell’eventualità di un continuo aumento dei dazi e di un’escalation delle tensioni ci sarebbero ben pochi motivi di ottimismo.
I dazi sono essenzialmente imposte sulle importazioni che accrescono i prezzi delle merci importate negli Stati Uniti, tra cui quelli dei beni intermedi utilizzati per creare i prodotti e i servizi finali venduti ai consumatori e alle imprese. Se i produttori statunitensi decidono di trasferire sugli acquirenti l’aumento dei costi dei fattori di produzione, il probabile risultato sarà un aumento dell’inflazione.
Tuttavia, di fronte a un rincaro dei fattori produttivi le imprese cercano in genere di risparmiare altrove o fanno il possibile per assorbire i maggiori costi. Pertanto, un aumento dei costi di importazione non sempre si traduce in un pari incremento dei prezzi dei beni e servizi finali, e l’effetto sull’inflazione dovrebbe essere quindi gestibile.
Al contempo, i dati economici statunitensi continuano a segnalare una solida espansione:
- La crescita dell’occupazione rimane sostenuta e favorisce una continua riduzione del tasso disoccupazione
- Gli indicatori futuri di crescita, come l’indice dei responsabili degli acquisti (PMI) compilato dall’ISM, rimangono elevati, al pari della fiducia di consumatori e imprese
- La crescita dei salari è aumentata, benché al 3% circa sia ancora moderata rispetto alla media storica
Il Presidente del Federal Reserve Board Jerome Powell ha recentemente dichiarato che il contesto economico non potrebbe essere migliore di quello attuale, caratterizzato da una crescita vigorosa e un’inflazione moderata. La Fed ritiene inoltre che, con il tasso di disoccupazione al 3,7%, il mercato del lavoro presenti una scarsa capacità inutilizzata.
La banca centrale è dunque intenzionata ad innalzare gradualmente il tasso overnight, salvo uno shock esogeno all’economia. Nonostante l’aumento dei rendimenti obbligazionari, l’acuirsi delle tensioni commerciali e il rallentamento della crescita globale, le condizioni finanziarie statunitensi hanno continuato a sostenere questa linea d’azione.
Il mercato sembra inoltre aver concluso che, sul fronte dei dazi, gli Stati Uniti si trovano in una posizione più forte rispetto al resto del mondo, in particolare alla Cina. Ciò si riflette nella diversa performance dei mercati azionari statunitensi e cinesi.
Gli Stati Uniti fanno registrare una crescita robusta, che dovrebbe continuare nel quarto trimestre per poi subire un probabile rallentamento nel 2019, al venir meno degli effetti positivi dei tagli alle imposte e dello stimolo fiscale. Riteniamo che le tensioni commerciali e gli aumenti del tasso sui federal fund siano ormai una realtà e che saranno una fonte di persistente volatilità sui mercati nel breve termine.