Sebbene le banche centrali abbiano dimostrato la volontà di sostenere la crescita e attuare possibili aggiustamenti economici nel 1° semestre 2016, l’inatteso sì alla Brexit della Gran Bretagna mette in luce la loro incapacità di guidare il processo di riforme strutturali, compito lasciato a politici riluttanti in Europa e, sempre di più, nel mondo intero.
Le prospettive economiche rimarranno legate a doppio filo agli sviluppi politici, soprattutto in Europa. Il prossimo referendum in Italia, ad esempio, e le elezioni previste in Olanda saranno un banco di prova per l’atteggiamento anti-UE e in diversi paesi (tra cui Scozia, Austria, Francia e Germania) sono già stati chiesti referendum per uscire dall’UE/Eurozona. Le promesse di una maggiore integrazione formulate dai governi non saranno probabilmente sufficienti a colmare il divario tra i cittadini, le istituzioni europee e i governi, lasciando ai mercati il peso di scontare periodicamente l’accresciuto rischio di frammentazione dell’UE.
Ad ogni modo, le nostre aspettative sulla crescita mondiale sono cambiate di poco dopo il voto poiché prevediamo un effetto limitato sulla progressiva ripresa in Gran Bretagna e sulla ritrovata stabilità delle economie emergenti.
Le previsioni di crescita economica per l’anno in corso rimangono modeste e si attestano sul 3% con tassi di crescita inferiori ai livelli storici sia per le economie sviluppate sia per quelle emergenti. Dopo la debolezza del primo semestre 2016 ci attendiamo un recupero nel secondo grazie a un andamento più robusto negli Stati Uniti trainato dai consumi, a loro volta favoriti dalla creazione di posti di lavoro.
In questo scenario, provvisori picchi di volatilità come quelli osservati all’inizio del 2016 dovrebbero confermarsi nel secondo semestre dell’anno. Le strategie di credito e di «carry» rappresentano dunque i nostri driver preferiti di performance all’interno di portafogli diversificati, con l’obiettivo di ridurre i rischi nelle allocazioni azionarie. I rendimenti delle obbligazioni sono scesi a livelli vicini a quelli osservati durante la crisi del 2008. I titoli di stato rimangono ben poco allettanti per gli investitori a lungo termine, anche se riconosciamo loro il potenziale di limitare i rischi.
I prestiti sovrani in USD e il debito societario emergente di qualità si confermano a nostro avviso interessanti nell’ottica di catturare rendimento, poiché gli spread rimangono elevati nonostante la stabilità che ci attendiamo nelle economie emergenti nei prossimi trimestri. Gli ampi sconti di valutazione stanno ormai raggiungendo massimi storici nonostante le società dei mercati emergenti stiano generando una redditività del capitale proprio simile a quella delle loro controparti occidentali. Inoltre, con la ritrovata stabilità delle economie emergenti, la prospettiva di un deterioramento degli utili che ha gravato su questa classe di asset, soprattutto rispetto ai mercati sviluppati, potrebbe presto sparire.
Il nostro scenario di base continua a delineare una costante ripresa dell’economia globale, ma l’esito del referendum in Gran Bretagna non riduce i rischi di frammentazione o rottura dell’UE e dell’Eurozona che i vertici politici sembrano far fatica a scongiurare.