Un mese fa mi trovavo a Bali con George Walker, il nostro CEO, una nutrita rappresentanza del nostro team che si occupa del debito dei mercati emergenti e diversi altri colleghi senior, per assistere all’Annual Meeting del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Si tratta di un evento di grande valore per noi, poiché non solo offre, ovviamente, approfondimenti in materia di economia e sviluppo, ma consente anche di scambiare aggiornamenti con clienti e partner di tutto il mondo, che si riuniscono nello stesso luogo. Per me è stata anche un’opportunità per viaggiare in diversi Paesi asiatici e toccarne con mano la situazione.
Quello che ho potuto apprendere è stato sufficiente a prepararmi per l’ondata di vendite che avrebbe colpito i mercati finanziari a fine ottobre. Rispetto all’Europa, per non dire gli Stati Uniti, in Asia si respirava un clima di forte sfiducia. Appena prima di avviare i lavori, il FMI ha rivisto al ribasso le sue previsioni; questo è stato uno dei temi principali delle varie discussioni avvenute durante l’evento. Si tratta di una regione estremamente sensibile al rallentamento dell’economia globale e alla guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti.
A ottobre, i mercati se ne sono resi conto. Occorre tuttavia notare che tale presa di coscienza rappresenta una buona notizia per gli investitori, come evidenziato dal deciso rialzo a cui abbiamo assistito in questi primi giorni di novembre. Inoltre, l’esito delle elezioni di metà mandato negli Stati Uniti ha verosimilmente rafforzato le buone notizie.
Nuovo equilibrio
L’impressione preponderante che ho avuto in Asia è questa: gli investitori ritengono che quest’anno l’Europa abbia iniziato a rallentare, che l’Asia seguirà a ruota e che nel 2019 gli Stati Uniti chiuderanno la fila. A prima vista, sembrano cattive notizie.
Allo stesso modo, stando agli analisti consultati, difficilmente la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti sfocerà in un “NATFA 2.0” (un gran trambusto finito ben presto con una stretta di mano), semplicemente perché i fattori coinvolti sono troppo ampi e complessi. Per superare una simile impasse potrebbe volerci del tempo.
Il fatto è, però, che una volta che tali realtà vengono scontate nei prezzi di mercato (come è accaduto in ottobre), suscitano timori decisamente più contenuti.
L’economia globale sta indubbiamente rallentando, ma nel 2017 la crescita è stata più rapida e sincronizzata che in qualunque altro periodo dopo la crisi finanziaria. Gli Stati Uniti indubbiamente rallenteranno nel 2019, ma ciò potrebbe favorire un ritorno della sincronizzazione, tenere a freno l’inflazione interna, indebolire leggermente il dollaro e consentire alla Federal Reserve di sospendere i rialzi dei tassi. Infine, i dazi stanno indubbiamente causando delle difficoltà, ma i danni sembrano limitati e alcuni segnali lasciano intendere che il conflitto potrebbe prendere una nuova piega.
Tutti questi fattori potrebbero facilitare la prosecuzione del ciclo economico fino al 2020 e consentire ai mercati di mantenere il loro un nuovo equilibrio.
Congresso diviso
A quanto pare, gli investitori sono giunti alla conclusione che i risultati delle elezioni statunitensi di metà mandato supportino questo scenario. Il fatto che i democratici abbiano ripreso il controllo della Camera dei Rappresentanti non ha influito sul rimbalzo dell’azionario e dei mercati emergenti a novembre.
L’impatto degli stimoli fiscali, dello scorso anno, sulle società è stato quasi del tutto assorbito nel sistema e un Congresso diviso rende estremamente improbabile l’eventualità di ulteriori iniziative inflazionistiche. Vi sono margini di intesa bipartisan su alcune spese infrastrutturali, ma la presenza in Senato di forti oppositori all’aumento della spesa pubblica terrà molto probabilmente a freno tali ambizioni.
I modesti passi avanti dei democratici e la conferma della maggioranza repubblicana nel Senato consente alla Casa Bianca di mantenere il controllo sulle nomine degli organi di vigilanza e di evitare un’inversione dei cambiamenti già operati. La storia insegna che i mercati amano i governi divisi e se la situazione contribuisce anche a togliere una parte delle pressioni inflazionistiche negli Stati Uniti, tanto meglio.
In generale, il Congresso ha meno possibilità di porre limiti alla Casa Bianca in materia di commercio. Ad ogni modo, la maggioranza della Camera dei Rappresentanti non ha davvero motivo o desiderio di bloccare il nuovo accordo tra Stati Uniti, Messico e Canada. E adesso che la stagione elettorale è alle spalle, i rapporti tra Cina e Stati Uniti potrebbero avviarsi verso una maggiore elasticità. Negli ultimi giorni tira già un’aria molto migliore. Ora sembra possibile che l’applicazione di nuovi dazi possa essere esclusa e, al suo posto, possa essere raggiunta, un passo alla volta, un’intesa su alcune merci dei settori manifatturiero e agricolo.
Anche io, come Joe Amato, credo che la volatilità sia tornata e difficilmente ci abbandonerà. C’è un motivo per questo. Il rischio di eventi avversi è concreto. Le probabilità che Trump venga sottoposto a diverse indagini e rischi l’impeachment sono oggi maggiori. L’inflazione degli Stati Uniti e la forza del dollaro vanno ancora tenute d’occhio. La caduta libera del renminbi, nonostante le massicce vendite delle riserve di valuta estera da parte della Cina, desta preoccupazioni. Negli Stati Uniti, abbiamo osservato segnali di esuberanza nelle obbligazioni CCC e nei leveraged loan.
In generale, però, è possibile che nel 2019 l’economia globale ritrovi un maggiore equilibrio, proprio come martedì scorso hanno fatto le camere del Congresso degli Stati Uniti.