La Fed, fonte di liquidità, è giunta a un bivio: lunga marcia o grande salto? O si lancia, quanto prima, in una lenta – e dura – marcia verso la normalizzazione della sua politica monetaria che potrebbe, nonostante gli inevitabili danni iniziali, rivelarsi vittoriosa tra uno o due anni. O temporeggia, consentendo all’eccesso di liquidità di spingere le valorizzazioni ai massimi livelli con il rischio di dover decidere, un giorno, di compiere un grande salto in avanti, verso una normalizzazione del livello dei tassi… che sarebbe in realtà un grande salto indietro verso una politica monetaria più tradizionale – e probabilmente un grande salto indietro anche per i mercati.
In ogni caso, si può ipotizzare di mantenere la linea attuale per più di qualche settimana. Con il livello odierno dell’inflazione negli Stati Uniti, pari a +3,1% su base annua per le spese personali delle famiglie, unito a un livello di crescita 2021 – previsto a un appena credibile 6,6% -, tutti i tassi dovrebbero essere ben al di sopra di quelli attuali.
Certo, i dati saranno temporaneamente gonfiati da un effetto base legato alla crisi di marzo 2020 e alcuni colli di bottiglia, sul lato dell’offerta, saranno chiamati a svanire nel tempo come, ad esempio, per i prezzi dei chip o dei veicoli.
Pur anticipando, tuttavia, una tregua nell’inflazione, con un livello leggermente superiore al 2% e una crescita del PIL in termini reali intorno allo stesso livello, i tassi a 10 anni dovrebbero attestarsi attorno al 4% almeno, come emerge dalle statistiche e dalla teoria economica. Eppure, sono nell’intorno dell’1,60% ormai da qualche settimana!
Va inoltre considerato che guardando all’attuale inflazione dei prezzi, non tutti i fattori sono così temporanei. Quelli di alcune materie prime, per esempio, hanno raggiunto picchi dai quali non potranno scendere rapidamente. L’offerta non è facilmente estensibile e la domanda non sembra sul punto di rallentare a breve, alla luce soprattutto dei grandi progetti infrastrutturali annunciati negli Stati Uniti. Alcuni esempi: i future sul rame sono ai massimi livelli da oltre 30 anni, in crescita di quasi il 90% in un anno. Quelli sul minerale ferroso sono aumentati del 70% circa nello stesso periodo.
Il prezzo del petrolio continua a essere ragionevole rispetto alla media degli ultimi anni, anche se è in rialzo di oltre il 40% dall’inizio dell’anno e dell’80% da un anno a questa parte. Nel frattempo, si riduce la capacità di produzione delle strutture di trivellazione dello «shale oil» negli Stati Uniti. Di conseguenza, i prezzi alla produzione stanno accelerando ovunque. In Cina, per esempio, sono aumentati del 6,80% in un anno. Parte di questo incremento dovrebbe riflettersi nelle merci esportate. Negli Stati Uniti, lo stesso indicatore è quasi al 10% (per i prodotti finiti). Il messaggio è tra l’altro confermato dalle proiezioni dei responsabili degli acquisti. Le indagini ISM sull’attività economica evidenziano un livello pari a 80,6 per il prezzo dei servizi, con una media a 59, e pari a 88 per l’ISM manifatturiero, contro una media a 61,9.
I salari non possono rimanere fermi affinché l’inflazione sia sostenibile. La recessione, altrimenti, interromperebbe la dinamica dei prezzi. È pur vero, da questo punto di vista, che i dati rimangono contenuti – forse troppo.
Lo dimostra l’ultimo report mensile sull’occupazione: la crescita su base annua del salario orario medio è stata del 2% soltanto a maggio. Inoltre, è noto che fattori di lungo termine, come l’invecchiamento demografico nei paesi ricchi e in Cina, o la digitalizzazione, tendono a comprimere l’inflazione. Sotto questa angolazione non è necessario agire urgentemente.
Ma l’inflazione non è soltanto salariale. Se una parte significativa dei fattori d’inflazione si rivelasse meno transitoria di quanto stia martellando la Fed, come sembra probabile che sia, il mercato potrebbe respingere la posizione attendista della banca centrale. La pressione sui tassi sarebbe dolorosa. Il grande salto in avanti non è sempre la politica migliore…
Parte della risposta dovrebbe arrivare entro la fine dell’estate, a Jackson Hole durante il Summit annuale dei banchieri centrali. Ma non ci sono dubbi: sanno che un salterello della Fed verso una lunga marcia sia da preferire a un grande salto tardivo. Questo piccolo passo per i banchieri dovrebbe essere un grande passo per i mercati.