Fed, il grande divario tra le sue prospettive e le aspettative del mercato
Nel corso della conferenza stampa successiva alla riunione del Federal Open Market Committee (FOMC) della scorsa settimana, il presidente Jerome Powell è stato interpellato in merito alla divergenza tra il percorso del tasso sui Fed Funds implicito nei forward rate agreement e le previsioni della Fed stessa, pubblicate nell’ultimo Summary of Economic Projections (SEP) di metà dicembre. All’epoca i contratti future sui Fed Funds con scadenza dicembre 2023 rendevano il 4,6% rispetto alla proiezione mediana del SEP del 5,1%, mentre il rendimento del contratto con scadenza dicembre 2024 trattava al 3,2% rispetto alla mediana del SEP del 4,1%. Il presidente Powell ha risposto che la divergenza è probabilmente in gran parte il risultato “dell’aspettativa del mercato che l’inflazione scenda più rapidamente”. Ha poi sottolineato che l’inflazione dei servizi core, esclusa la componente sugli alloggi (più direttamente correlata ai mercati del lavoro e all’inflazione salariale) non ha ovviamente raggiunto il picco.
Forse ancora più interessante è il fatto che, dopo il rapporto sull’occupazione negli Stati Uniti di questo gennaio, che ha mostrato un tasso di disoccupazione del 3,4% oltre a revisioni al rialzo dell’inflazione della retribuzione oraria media, l’aspettativa del mercato sulla probabile traiettoria del tasso sui Fed Funds non è cambiata molto. Infatti, il rendimento del contratto future sui Fed Funds di dicembre 2023 è salito al 4,9% (al momento della stesura di questa nota), ma il mercato delle opzioni SOFR (Secured Overnight Financing Rate), più liquido dei Fed Funds, continuava a valutare una probabilità di circa il 65% di vedere tassi al di sotto della proiezione mediana del FOMC del 4,1% per il 2024, la stessa probabilità che era stata valutata prima della riunione del FOMC di febbraio. In altre parole, il mercato ha valutato una maggiore probabilità di un aumento del tasso sui Fed Funds nei prossimi sei mesi circa, seguito da una maggiore probabilità di ulteriori tagli in seguito.
Perché le aspettative di mercato sul percorso dei tassi della Fed, e in particolare sulla probabilità di tagli dei tassi, sono rimaste così stabili nonostante i recenti dati economici che, se non altro, hanno sostenuto la prospettiva della Fed di una diminuzione dell’inflazione nel tempo con rischi relativamente limitati per i mercati del lavoro? Naturalmente, le previsioni basate sul mercato non sempre si avverano, ma vediamo tre ragioni (al di fuori delle prospettive di inflazione) per cui le aspettative di mercato sui tagli dei tassi potrebbero continuare ad essere “viscose”.
In primo luogo, le grandi sorprese relative al mercato del lavoro non sono rare in prossimità del picco di un ciclo di rialzo dei tassi. Secondo l’indagine Bloomberg e il Bureau of Labor Statistics (BLS), nell’agosto 1997 gli occupati statunitensi sorpresero di quasi due deviazioni standard (316.000 prima pubblicazione contro le 70.000 del consenso) prima che la Fed tagliasse i tassi di 75 punti base (pb) complessivamente negli ultimi mesi del 1998. I dati sul lavoro hanno sorpreso in modo analogo nel febbraio 2000 (268.000 unità prima pubblicazione contro le 90.000 del consenso) prima che la Fed tagliasse i tassi di 475 pb complessivamente nel 2001 per attenuare l’impatto dello scoppio della bolla delle dot-com sull’economia. Nel gennaio 2007, e poi di nuovo nel novembre dello stesso anno, il BLS ha pubblicato dati sull’occupazione ben al di sopra (circa 1,5 deviazioni standard) del consenso di Bloomberg, per poi vedere la Fed tagliare i tassi di 500 pb complessivamente dalla fine del 2007 al 2008 in risposta alla crisi finanziaria globale e allo scoppio della bolla immobiliare.
In secondo luogo, storicamente la Fed non ha mantenuto a lungo il livello di picco dei tassi terminali. In effetti, se si considerano i periodi storici a partire dagli anni ’80 in cui la Fed è rimasta in attesa dopo il rialzo, si evince che il periodo medio di permanenza dei tassi in corrispondenza del tasso terminale del ciclo di rialzo è stato di circa 7 mesi, mentre i cicli “inflazionistici” sono stati più brevi. Inoltre, quando la Fed ha iniziato a diminuire i tassi, li ha ridotti in media di 230 punti base nell’anno successivo all’inizio dei tagli.
Terzo e ultimo punto: sebbene le aspettative di mercato sulle condizioni finanziarie si siano un po’ allentate di recente, quest’ultime rimangono ancora rigide rispetto agli standard storici. Di conseguenza, una recessione – seppur lieve – sembra ancora un’ipotesi di base ragionevole per l’economia statunitense, anche se i recenti dati hanno mostrato maggiore resilienza del previsto. L’indice delle condizioni finanziarie di PIMCO segna ora un calo di circa 80 pb rispetto al picco raggiunto nell’ottobre 2022; tuttavia, è ancora in crescita del 5,7% circa da quando ha toccato il minimo all’inizio di gennaio 2020. Inoltre, riteniamo che non si tenga conto della pressione restrittiva che il tasso overnight esercita sull’economia. Oltre ai tassi delle carte di credito e di altri prestiti al consumo, che fluttuano, anche la maggior parte dei prestiti bancari commerciali e industriali, che coprono il fabbisogno di scorte e di capitale circolante delle imprese, fluttuano, quindi i consumatori e le imprese risentono dell’aumento dei tassi. Infine, e ciò non sorprende, le condizioni dei mercati finanziari stanno iniziando a influenzare le condizioni effettive di finanziamento delle banche. Secondo l’ultima indagine condotta tra dirigenti del settore prestiti, la propensione delle banche a concedere prestiti sia ai consumatori che alle imprese è scesa a livelli mai visti in assenza di una recessione, riducendo l’accesso alla creazione di credito che è fondamentale per la crescita economica globale.
Cosa significa tutto questo? Sebbene i dati economici degli ultimi mesi abbiano più o meno supportato le proiezioni della Fed, il divario tra le aspettative di mercato e le previsioni della stessa Fed potrebbe persistere. In effetti, i dati recenti non ci hanno indotto a modificare la nostra previsione di una lieve recessione negli Stati Uniti – stiamo solo posticipando leggermente i tempi – e tendiamo ad allinearci con le aspettative di mercato che suggeriscono che il rapporto sul mercato del lavoro di venerdì scorso abbia aumentato le probabilità che la Fed annunci rialzi di 25 punti percentuali sia a marzo che a maggio. Le condizioni finanziarie rimangono complessivamente rigide, mentre l’inflazione sembra moderarsi e l’aumento dei tassi di interesse sembra pesare sull’economia con un certo ritardo. Alla luce di questo contesto macro, non sorprende che gli operatori di mercato vedano un’elevata probabilità che la politica monetaria della Fed ricalchi i recenti precedenti storici, in cui la pausa in corrispondenza del tasso terminale è stata di breve durata e i tagli dei tassi hanno seguito a breve.