I dati sull’inflazione statunitense di settembre sono stati deludenti, nonostante l’azione aggressiva intrapresa dalla Fed a partire da marzo, ovvero l’aumento dei tassi di 300 punti base (bps) da un livello prossimo allo zero a un intervallo target compreso tra il 3% e il 3,25%. Nel complesso, i prezzi al consumo hanno superato le aspettative, aumentando dello 0,4% mese su mese (MoM), mentre i prezzi core, che escludono i generi alimentari e l’energia, sono aumentati dello 0,6%, anch’essi al di sopra di quanto previsto. L’inflazione annuale è scesa leggermente dall’8,3% di agosto all’8,2% di settembre, mentre l’inflazione sottostante ha accelerato dal 6,3% al 6,6%, il valore più alto degli ultimi 40 anni.
Finché persisterà il rischio di inflazione, la Fed proseguirà con un atteggiamento aggressivo. Riteniamo che sia prematuro discutere di una modifica della politica monetaria. L’inflazione è troppo alta e il mercato del lavoro è troppo rigido. Dopo il comitato di luglio, i responsabili delle politiche della Fed sono cauti nel trasmettere quello che potrebbe essere percepito dal mercato come un messaggio accomodante. La Fed sta allontanando le aspettative di taglio dei tassi. Attualmente, gli investitori si aspettano che la banca centrale allenti la politica monetaria nel quarto trimestre del 2023, riducendo i tassi di 40 punti base. I mercati scommettono su un soft landing.
La Fed vuole evitare che le aspettative di inflazione si sbilancino, perché le previsioni hanno un impatto sulle negoziazioni delle retribuzioni e alimentano la “spirale salari-prezzi”. Altamente sensibili al prezzo della benzina, le aspettative di inflazione dei consumatori sono aumentate a ottobre per la prima volta da marzo. Il sondaggio preliminare dell’Università del Michigan ha mostrato che le aspettative di inflazione a un anno sono salite al 5,1% in ottobre, rispetto al 4,7% di settembre.
Gli indicatori macroeconomici mostrano i primi segnali di progresso dopo l’inasprimento della politica monetaria della Fed. Tuttavia, gli effetti dei rialzi dei tassi possono richiedere fino a 12 mesi per essere percepiti nell’economia reale. Come ha indicato di recente la vicepresidente della Fed Lael Brainard, “la moderazione della domanda dovuta all’inasprimento della politica monetaria si è finora realizzata solo in parte”. Nel mercato immobiliare, ad esempio, le vendite di case sono diminuite mentre i tassi ipotecari sono saliti al 6,9%, il massimo da 16 anni. Nel mercato del lavoro, il numero di posti disponibili è diminuito di oltre un milione ad agosto, scendendo a poco meno di 10,1 milioni. Anche la crescita dei salari è rallentata; l’Atlanta Fed Wage Growth Tracker, che misura la crescita dei salari nominali delle persone, si è attestato al 6,3% a settembre dopo il 6,7% di agosto.
Cosa farà la Fed?
Tuttavia, queste cifre sono ancora elevate rispetto agli standard storici. Inoltre, l’ultima sorpresa dell’inflazione statunitense e i solidi dati sull’occupazione sollevano dubbi sui rialzi dei tassi della Fed.
- In primo luogo, i dati economici potrebbero spingere la Fed a rialzare i tassi, causando ulteriori sofferenze all’economia statunitense e ai mercati esteri, data la forza del dollaro? È probabile. Secondo il dot plot di settembre, sei dei diciannove policymaker della Fed hanno indicato il 5% l’anno prossimo come limite superiore dell’obiettivo, mentre la proiezione mediana era al 4,75%. Se la Fed aumenterà i tassi di altri 75 punti base a dicembre, i mercati potrebbero prevedere un tasso finale superiore al 5%.
- In secondo luogo, potrebbero altri rialzi dei tassi risolvere il problema dell’inflazione, che al momento è guidata dagli shock dell’offerta, dall’aumento dei costi dell’energia e dai margini delle imprese? Probabilmente no. Come ha sottolineato di recente la vicepresidente della Fed Lael Brainard: “Il ritorno dei margini di vendita al dettaglio a livelli ordinari potrebbe contribuire in modo significativo a ridurre le pressioni inflazionistiche in alcuni beni di consumo, considerando che i margini lordi di vendita al dettaglio sono circa il 30% del totale delle vendite in dollari”. Inoltre, per ridurre l’inflazione, la banca centrale statunitense deve ridurre significativamente il proprio bilancio.
- In terzo luogo, può una banca centrale agire da sola nella lotta all’inflazione, senza il sostegno del governo? La risposta è no. Si pensi, ad esempio, al tentativo del Regno Unito di rilanciare l’economia con lo stimolo fiscale, che si è rivelato un fallimento e ha innescato un sell.off di obbligazioni questo mese. La politica fiscale e quella monetaria devono convergere verso una riduzione degli stimoli per vincere la battaglia contro l’inflazione.
Finché la Fed non terminerà il suo ciclo di inasprimento, che secondo le anticipazioni del mercato non avverrà prima di marzo 2023 nella migliore delle ipotesi, l’aumento dei rendimenti reali continuerà a pesare sugli asset rischiosi e sulle obbligazioni. Un rallentamento del ritmo della stretta monetaria offrirà un sollievo temporaneo per la maggior parte delle asset class. Dato il rischio reale di recessione, riteniamo che gli investitori cercheranno soprattutto la duration.