Fed, perchè il mercato non dovrebbe sperare troppo nei suoi tagli ai tassi
Certezza della politica monetaria: domanda e non risposta. Mentre la domanda “Chi vincerà il Kentucky Derby?” può essere risolta in due minuti, quella su quando la Fed degli Stati Uniti inizierà a tagliare i tassi è tutta un’altra questione. Da un lato è vero che il risultato della riunione della Fed della scorsa settimana – un aumento dei tassi di 25 punti base – era il più pronosticato. Tuttavia, la riunione si è svolta in un contesto condizionato dalle conseguenze del fallimento di un’altra banca regionale statunitense e la mancanza di chiarezza da parte della Fed su una pausa, per non parlare di una svolta, ha rovinato l’umore ottimista del mercato azionario. Il presidente della Fed Jerome Powell ha accennato a una possibile pausa nello storico ciclo di rialzo dei tassi, ma ha evitato di entrare nello specifico. Inoltre, se da un lato la rapida acquisizione degli asset dell’ultima banca fallita ha rappresentato un aspetto positivo, dall’altro l’ansia per l’incombente negoziato politico sul tetto del debito statunitense ha amplificato le preoccupazioni esistenti sullo stato di salute generale del sistema finanziario degli Stati Uniti.
Gli investitori dovrebbero fare attenzione a ciò che desiderano. Le aspettative di consenso prevedono un taglio dei tassi d’interesse entro la fine del 2023, ma ci aspettiamo che i tassi rimangano alti ancora a lungo. Un cambio di rotta della Fed potrebbe sembrare un vento favorevole per gli asset di rischio, ma tale cambiamento non avverrà in isolamento da tutto il resto. In effetti, ciò che alla fine indurrà la Fed a tagliare i tassi – un rallentamento dell’economia che si trasforma in una recessione – sarà sicuramente negativo per i mercati. Fino ad allora, la persistente rigidità del mercato del lavoro, insieme ad aree di inflazione ostinatamente persistenti e a un panorama politico conflittuale a Washington, dovrebbero far aumentare la volatilità nelle prossime settimane.
Emergenti in anticipo. Nonostante le sfide che i mercati statunitensi devono affrontare, riteniamo che in generale siano un porto sicuro rispetto a quelli della maggior parte degli altri Paesi e regioni. Detto questo, continuiamo a vedere interessanti sacche di opportunità di investimento al di fuori degli Stati Uniti, soprattutto in alcuni mercati emergenti. Ci concentriamo sui Paesi che hanno mantenuto politiche monetarie più restrittive e dove i tassi reali sono stati positivi nella storia recente. Queste condizioni possono contribuire a rallentare l’inflazione e creare spazio per tagli dei tassi più consistenti (e più imminenti) di quelli che ci aspettiamo negli Stati Uniti.
Conseguenze sul portafoglio delle mosse della Fed
Nel primo trimestre, il nostro Global Investment Committee ha migliorato il suo outlook sull’azionario e sul debito dei mercati emergenti, un’opinione che manteniamo tuttora. La probabile pausa dei rialzi dei tassi della Fed della scorsa settimana potrebbe essere un catalizzatore per un ulteriore indebolimento del dollaro, che è già sceso di circa il 6% dai massimi dell’ottobre 2022 rispetto alle valute emergenti. Questo dovrebbe favorire i Paesi emergenti, facilitando il pagamento del loro debito denominato in dollari.
Nell’ambito dei titoli azionari EM, la selezione dei Paesi e la diversificazione sono fondamentali. La Cina è sempre oggetto di attenzione perché rappresenta circa un terzo dell’indice MSCI EM. Attualmente siamo cautamente ottimisti sulle azioni cinesi, in parte grazie alla continua ripresa dei consumi interni di servizi, in particolare ristoranti e attività ricreative. A marzo, l’indice PMI non manifatturiero cinese ha raggiunto 58,2, il livello più alto da maggio 2011. I livelli PMI superiori a 50 indicano un’espansione dell’attività. Tuttavia, il settore manifatturiero non è andato altrettanto bene, a causa del rallentamento della domanda globale di beni di consumo cinesi. Inoltre, la Cina deve far fronte a tensioni geopolitiche e commerciali con gli Stati Uniti, che non devono essere ignorate, anche se probabilmente sono più un “rumore di fondo” che un serio ostacolo alla traiettoria di crescita della Cina nel medio termine.
Due mercati azionari emergenti che riteniamo interessanti sono il Brasile e il Messico. In Brasile, l’inflazione dei prezzi al consumo continua a scendere, attestandosi al 4,65% a marzo rispetto al picco del 12,1% dell’aprile 2022. Il tasso di riferimento della banca centrale brasiliana è pari al 13,75%, leggermente al di sotto del livello più alto degli ultimi 15 anni. Con il rapido raffreddamento dell’inflazione, i responsabili delle politiche monetarie potrebbero essere costretti a tagliare i tassi prima del previsto, innescando potenzialmente un forte rally del mercato azionario. La storia del Messico è simile a quella del Brasile: tassi nominali e reali elevati e inflazione in decelerazione. Essendo il Messico strettamente legato agli Stati Uniti, la sua banca centrale tende a modificare la politica monetaria in base alle azioni della Fed. Questa volta, però, potrebbe decidere di tagliare molto prima della Fed, soprattutto con un tasso reale attualmente del 4,4%.
La selezione dei Paesi è fondamentale anche per il debito emergente, dove riteniamo che gli investitori attenti e pazienti possano essere premiati. L’asset class rimane a buon mercato rispetto al credito statunitense, con uno spread attuale di 189 punti base, più di cinque volte più ampio rispetto alla media di lungo periodo di 36 punti base. Come nel caso dei titoli azionari, i prospettati tagli dei tassi potrebbero contribuire a generare forti rendimenti totali per il reddito fisso EM. Inoltre, i dati tecnici del mercato rimangono favorevoli, con una maggiore liquidità in riserva e le sfide che gli emittenti sovrani in difficoltà devono affrontare che sono già ampiamente prezzate.