Il mercato azionario continua la sua corsa. Il rendimento del 17% registrato dall’indice MSCI All Country World è circa il doppio del ritorno medio annualizzato da noi atteso per le azioni e fa seguito al rialzo dell’8% archiviato nel 2016. Ma le azioni non possono produrre sempre rendimenti così alti e, secondo molti investitori, prima o poi si arriverà al punto di rottura.
In passato, i periodi di performance azionaria straordinariamente solida sono stati seguiti da una pesante contrazione o da una fase di rendimenti più lenti. A nostro giudizio, è poco probabile che nel nostro orizzonte d’investimento tattico a sei mesi si registrino perdite significative. Non ci aspettiamo neanche che emergano i tradizionali catalizzatori di una brusca flessione, quali un’impennata dei prezzi petroliferi, l’adozione di politiche di austerity, un forte aumento dei tassi d’interesse, un credit crunch o uno shock esogeno.
La flessibilità dell’offerta di greggio creata dalla tecnologia shale ha ridotto le probabilità che si verifichi uno shock petrolifero. Inoltre, dopo anni di riduzione del deficit di bilancio negli Stati Uniti e nell’eurozona, gli attuali programmi di politica fiscale indicano un aumento della spesa pubblica, anziché una sua diminuzione. Il rischio di una crisi del credito dovrebbe essere mitigato sia dal miglioramento dei coefficienti patrimoniali delle banche, dal 7,1% del 2007 all’attuale 13,4%, sia dal calo del rapporto debito delle famiglie/PIL complessivo nelle economie avanzate, dall’85% del 2009 all’attuale 73%.
Gli shock esogeni sono per loro natura difficili da prevedere, anche se le tensioni geopolitiche relative alla Corea del Nord costituiscono un chiaro rischio; tuttavia, il nostro scenario di riferimento resta incentrato su una soluzione diplomatica. A nostro avviso, una contrazione economica avrebbe come causa più probabile il rapido ritiro degli stimoli monetari; ci sembra però un’eventualità poco plausibile nei prossimi sei mesi, dato che l’inflazione è ancora bassa e le banche centrali si sono impegnate ad alzare il costo del denaro a un ritmo solo graduale.
Un pesante deterioramento economico appare quindi improbabile, ma a nostro parere ci avviamo verso un periodo di rendimenti più contenuti per le azioni. I rapporti prezzo/utili si attestano a 17,8x, vicini alla media di lungo periodo di 18x, e quindi il potenziale di ulteriore rialzo è ridotto.
Lo scenario ideale per l’inflazione e la crescita (a livelli né troppo alti né troppo bassi), che si è prodotto negli ultimi sei mesi, è probabilmente destinato a cambiare, soprattutto sul fronte dell’inflazione. La capacità disponibile nell’economia continua a diminuire, in particolare sui mercati del lavoro, e il graduale rincaro del greggio dovrebbe far salire le pressioni inflazionistiche. Gli indici dei prezzi potrebbero ripartire soprattutto in presenza di un’accelerazione della crescita l’anno prossimo, eventualità del tutto possibile se la riforma fiscale sarà approvata.
Anche la politica monetaria statunitense ha toccato un punto d’inversione, poiché la Federal Reserve ha annunciato che comincerà a ridurre il suo bilancio questo mese. Il ritiro dello stimolo sarà graduale e, dopo il tapering, il bilancio della Fed rimarrà comunque di dimensioni di gran lunga maggiori rispetto a prima della crisi finanziaria, un fattore che dovrebbe mitigare l’impatto sui mercati. La situazione comporta comunque dei rischi, poiché non ci si è mai trovati nelle condizioni di ritirare una politica monetaria non convenzionale durata nove anni.
Ci aspettiamo che nei prossimi sei mesi i mercati azionari registrino rendimenti del 2-4%. Abbiamo quindi recentemente ridotto l’entità del nostro sovrappeso nell’azionario globale. Ma, anche se a livelli più bassi rispetto a quelli cui eravamo abituati negli ultimi anni, le azioni dovrebbero comunque registrare performance positive e superiori a quelle della liquidità nonché delle obbligazioni e dei titoli di Stato con rating elevato.