Le misure varate in Cina per contrastare la diffusione del coronavirus sembrano ottenere buoni risultati, ma i dati in aumento nel resto del mondo spaventano i mercati. Proviamo a fare il punto della situazione.
Da una settimana a questa parte gli eventi hanno preso una decisa accelerazione sul fronte coronavirus, quanto meno dal punto di vista mediatico: il contagio all’Europa, con il nord Italia a registrare i primi significativi focolai di epidemia, ha segnato per molti osservatori il passaggio da un episodio limitato a Cina e area asiatica, per quanto molto rilevante, ad uno di portata potenzialmente globale.
Le notizie italiane che replicano in sostanziale déjà vu quanto già osservato a gennaio in Cina fra aree isolate, eventi cancellati e appelli delle Autorità a limitare spostamenti e contatti, mostrano da vicino quanto possa essere invasivo l’effetto del virus sulla vita delle persone e, di conseguenza, anche su consumi e attività produttive.
Proprio questo punto ha costituito una doccia fredda per i mercati, precedentemente rassicurati da dati cinesi di contagio in deciso miglioramento. Al di là della reale pericolosità del virus, che riguarderebbe un numero limitato di casi, il timore per gli investitori è che questo problema non abbia soluzione rapida e continui a produrre conseguenze nei prossimi mesi. Dal punto di vista economico è probabile che il PIL globale sarà condizionato dal virus in varia misura nel primo semestre.
Ciò vuol dire che le conseguenze si produrranno inevitabilmente anche sui risultati aziendali.
Nel breve termine questo stato di cose crea uno scenario piuttosto scivoloso. Alcuni fattori tecnici (vendite sistematiche dei CTA, posizionamento operatori e hedge fund) e altri fondamentali (valutazioni non a buon mercato, possibili revisioni al ribasso degli utili) indicano che la volatilità potrebbe mantenersi elevata nelle prossime settimane. Ciò a maggior ragione in vista del concomitante super Tuesday delle primarie democratiche, passibile di rendere più concreta la candidatura di Sanders, notoriamente inviso agli ambienti di mercato.
D’altro canto, se l’effetto del virus risulterà transitorio come ci si attende, i precedenti insegnano che nel medio termine i riflessi sui mercati saranno limitati. È molto probabile che ci sia l’ennesima risposta delle Banche Centrali (in prima battuta della Fed) che, come accaduto per la guerra dei dazi, potrebbero fornire una nuova “put” alle quotazioni.
Proprio questi interventi dovrebbero continuare a tenere compresse le curve obbligazionarie, preservando il più importante fra i fattori di supporto del mercato: il “there is no alternative”, l’assenza di alternative convincenti ai rendimenti azionari.