Per i mercati obbligazionari, l’inizio del 2017 sembrava l’alba di una nuova era economica. Il neoeletto presidente statunitense Donald Trump prometteva di imprimere slancio all’economia USA tramite ambiziosi programmi di riforme infrastrutturali e fiscali.
Tuttavia, gli audaci piani di Trump per vivacizzare l’economia statunitense sono progrediti molto più lentamente del previsto. Nel 2017 non si è concretizzato alcuno sviluppo degno di nota in ambito infrastrutturale. Anche se la riforma fiscale negli Stati Uniti potrebbe giovare ad alcune aziende a stelle e strisce, è poco probabile che abbia un impatto rilevante dal punto di vista macroeconomico.
La graduale normalizzazione della politica monetaria, attuata tra l’altro tramite il lento rientro dal quantitative easing, nata in risposta al miglioramento della dinamica della crescita e a incipienti segnali di rincaro, non è riuscita a produrre un sensibile riapprezzamento dei rendimenti obbligazionari.
Nessun cambiamento all’orizzonte
Per il 2018, è improbabile che la riforma fiscale statunitense sia in grado di dare impulsi significativi al tasso di crescita del paese. Il contesto macroeconomico più ampio resta comunque favorevole. La ripresa iniziata sin da prima dell’elezione di Trump è proseguita quest’anno. Sia negli Stati Uniti che in Europa, il recupero procede a ritmi più sostenuti rispetto ai tassi di crescita tendenziali, sia pure a ritmo più rallentato rispetto ai cicli precedenti.
Le prove a conferma della ripresa in atto dell’economia statunitense sono state sufficienti a indurre la Federal Reserve ad avviare il ritiro dell’allentamento monetario. La Banca centrale europea dovrebbe seguire a ruota a tempo debito. È lecito concludere che, alle porte del 2018, il picco delle misure straordinarie di politica monetaria è ormai alle nostre spalle.
Normalmente, tutti questi fattori suggerirebbero un contesto sfavorevole alle obbligazioni, ma i rendimenti sono solo leggermente più elevati rispetto ai minimi estremi raggiunti verso la fine del 2016. Restano infatti a quote storicamente molto basse, e sono decisamente inferiori ai livelli che ci si attenderebbe in questa fase del ciclo economico.
La fine del ciclo
Mentre i rendimenti obbligazionari restano bassi, i mercati azionari sembrano raggiungere vette sempre più alte di settimana in settimana. Stando a numerosi indicatori, ci troviamo in una fase avanzata del ciclo congiunturale. Gli spread creditizi sono estremamente ristretti, con un elevato ricorso alla leva finanziaria da parte di aziende e consumatori. Appare improbabile che gli attuali ritmi di espansione economica possano essere sostenuti nel corso del prossimo anno.
Sono diversi i fattori che hanno contribuito al forte incremento dell’attività economica, ma è difficile che si ripetano nel 2018. L’espansione degli ultimi 18 mesi è riconducibile in gran parte a un boom negli investimenti nelle infrastrutture energetiche a seguito dell’aumento delle quotazioni petrolifere, cosa che non dovrebbe accadere nuovamente.
Il massiccio ricorso al credito in Cina nell’ambito del tentativo dei responsabili delle politiche di infondere nuovo slancio al mercato residenziale del paese ha aiutato i mercati emergenti e favorito altresì il commercio globale. Alla luce dei crescenti timori della Cina in merito agli squilibri finanziari interni, è improbabile che si assista a un’intensificazione delle spese nel 2018.
Negli Stati Uniti si osserva un elevato grado di fiducia da parte dei consumatori. Se è vero che i consumi sono in ascesa, è altrettanto vero che i redditi reali disponibili stanno aumentando solo molto lentamente. Non è chiaro se gli Stati Uniti possano continuare a espandere il credito alle famiglie in misura sufficiente da sostenere il boom dei consumi.
I livelli globali di leva finanziaria sono molto alti e le misure di stimolo in termini di politica monetaria vengono ridotte in un momento in cui i volani della crescita passati dovrebbero cominciare a indebolirsi. Il grado di ottimismo e il livello delle valutazioni sui mercati del rischio restano estremamente elevati. Vi sono buone probabilità di un cambiamento del sentiment nel 2018, il che ci induce a moderare le nostre previsioni di un incremento dei rendimenti obbligazionari.
Un contesto artificiale
I mercati obbligazionari continuano a essere distorti da politiche macroeconomiche non convenzionali da un lato e tendenze strutturali dall’altro. Il sistema finanziario beneficia tuttora di ingenti iniezioni di liquidità. Le banche centrali mondiali si trovano in fasi diverse del processo di ritiro degli stimoli artificiali, e i rendimenti obbligazionari restano depressi.
Come abbiamo potuto vedere negli ultimi anni, il quantitative easing non conosce frontiere e la liquidità disponibile in un paese trova il modo di estendersi ad altri. Se è vero che il livello di distorsione dei mercati obbligazionari provocato dalle banche centrali è forse inferiore a quello degli anni precedenti, esso resta comunque un fattore costante.
A sostenere ulteriormente i prezzi delle obbligazioni concorrono anche fattori strutturali. L’invecchiamento demografico implica una necessità di reddito, per cui gli investitori saranno attratti dalle obbligazioni e i rendimenti diminuiranno. Sin dalla crisi finanziaria globale, inoltre, si è rilevata una domanda importante di asset sicuri dovuta a motivi normativi. Alla luce del giro di vite delle autorità di vigilanza, le banche sono tenute a detenere una quota molto maggiore dei loro bilanci in Treasury statunitensi.
Infine, il livello neutrale dei tassi reali nelle economie avanzate ha accusato 30 anni di flessione per via del cambiamento demografico e del basso aumento della produttività. Benché i tassi neutrali si siano leggermente ripresi, all’orizzonte non si intravede alcun elemento, perlomeno non nel prossimo anno, che sia in grado di ribaltare tale tendenza al ribasso.
La concomitanza di tutti questi fattori limita il livello di correzione possibile sui mercati obbligazionari e la normalizzazione dei rendimenti.
Individuazione di valore relativo
In un contesto di incertezza, gli investitori dovrebbero prendere in considerazione le opportunità in maniera selettiva e ricercare opportunità di valore relativo. È possibile ravvisare una differenza tra i cicli economici dei diversi paesi. A titolo di esempio, il ciclo statunitense è più avanzato rispetto a quello europeo, anche se la brillante crescita nel Vecchio Continente suggerisce che la sua politica monetaria comincerà ora a essere interessata da una lenta normalizzazione. Ciò, a sua volta, suggerisce che l’attuale differenziale tra i rendimenti tedeschi e quelli statunitensi è troppo alto.
Inoltre, si intravedono alcune opportunità nei mercati emergenti. Ad esempio, vi sono margini per un calo dei tassi in mercati quali Messico e Russia. Impieghiamo strategie valutarie analogamente al reddito fisso, alla ricerca di valore relativo. In assenza di un tema direzionale forte, gli investitori devono concentrarsi maggiormente sul cambiamento delle dinamiche tra i diversi mercati. È altresì possibile esprimere opinioni sul ciclo mediante rendimenti relativi su obbligazioni a breve e lunga scadenza.
Per il prossimo anno abbiamo una visione meno ottimista sul dollaro Usa rispetto alla maggior parte del mercato, in quanto riteniamo che il teatro della crescita e normalizzazione della politica monetaria si sposterà altrove. Restiamo dell’avviso che l’euro sia trascurato dagli investitori, e che l’attuale dinamica delle partite correnti nell’area euro dovrebbe sostenere la moneta unica.
La performance dell’economia mondiale è stata di gran lunga migliore rispetto a quanto previsto 12 mesi fa. Tuttavia, i rischi in grado di incidere sullo status quo si presentano ben bilanciati. A fronte degli alti livelli del debito, delle elevate valutazioni degli attivi e del fatto che siamo più vicini alla fine del ciclo che al suo inizio, la domanda di beni rifugio potrebbe essere più persistente del previsto.