Il divario tra speranza degli attori finanziari e realtà economica è colmabile?
- La situazione economica mondiale è migliorata, l’inflazione è presente ma gli investimenti restano timidi
- La politica cinese è decisiva per la crescita mondiale nei prossimi trimestri, mentre la riduzione delle imposte americane si fa attendere
- La zona euro si rinforza a livello finanziario e politico
Dopo la speranza in una forte accelerazione della crescita mondiale a seguito dell’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, i tassi d’interesse e di cambio si sono normalizzati. Da un lato, parte del movimento di “reflation” è risultato dal cambiamento della politica economica cinese che per natura è ciclica e temporanea. Dall’altro, l’apprezzamento del dollaro e l’aumento dei tassi d’interesse hanno limitato l’incremento della crescita americana all’inizio del 2017, mentre l’attuazione della riduzione delle imposte si fa attendere. Inoltre l’aumento del 39% del prezzo del petrolio registrato tra l’estate del 2016 e il mese di febbraio del 2017 ha pesato sul consumo delle economie domestiche su scala mondiale.
Nei prossimi trimestri, la crescita mondiale potrebbe restare dinamica, nonostante l’effetto negativo della riduzione del prezzo delle materie prime sulle esportazioni dei paesi emergenti. Inoltre, la riduzione dell’inflazione dovrebbe sostenere la domanda interna. I prezzi al consumo continueranno però a crescere anche se in modo meno rapido rispetto all’inizio del 2017. Di conseguenza, l’inflazione sarà superiore rispetto a quella registrata nel 2016 mantenendo bassi i tassi d’interesse reali. Come già anticipato, bisognerà però aspettare l’inizio del 2018 per osservare l’impatto effettivo sull’economia reale della riduzione delle imposte annunciata dal Presidente americano.
Prevediamo una nuova accelerazione della crescita americana pari al 2.1% nel 2017 e al 2.5% nel 2018, dopo l’1.6% registrato nel 2016. La zona euro beneficerà di una politica monetaria molto accomodante, di un nuovo aumento della spesa pubblica e soprattutto di una nuova capacità della Banca Centrale Europea (BCE) di determinare in modo autonomo i propri tassi d’interesse. In base alle nostre previsioni, i paesi emergenti dovrebbero registrare una crescita che raggiungerà il 4.6% nel 2017, rispetto al 4.1% del 2016 nonostante la diminuzione del prezzo delle materie prime. La crescita mondiale è però vincolata dal peso del debito in continuo aumento.
L’inflazione sottostante rimarrebbe quindi contenuta consentendo alle banche centrali di attuare politiche monetarie accomodanti ed evitando un aumento dei tassi d’interesse troppo rapido e marcato. Dall’inizio della crisi la vera sfida consiste infine nel valutare lo scarto tra PIL effettivo e PIL potenziale (output gap). Infatti, fintanto che il PIL effettivo è inferiore al suo potenziale, la crescita non genera tensioni inflazionistiche e consente ai banchieri centrali di normalizzare la loro politica monetaria in modo graduale. Questo scarto potrà però essere determinato con certezza solo ex-post, ciò che è motivo d’instabilità.
L’uomo della crescita mondiale è Xi Jinping…non Donald Trump
La crescita mondiale ha riaccelerato a livello globale a partire dall’estate 2016. Il ridimensionamento del piano infrastrutturale cinese deciso all’inizio del 2016 ha comportato nel 2016 un aumento del 21% delle spese d’investimento delle imprese statali del paese. Ne è risultato un aumento del prezzo delle materie prime del 15% tra agosto 2016 e febbraio 2017. L’incremento è stato del 43% in un anno. La Cina è infatti uno dei primi consumatori a livello mondiale di materie prime: assorbe due terzi delle importazioni mondiali di minerali di ferro e la metà delle importazioni di zinco, rame, acciaio e alluminio.
Questo riorientamento della politica economica cinese ha contribuito notevolmente all’accelerazione dell’inflazione e del commercio mondiale. Quest’ultimo ha osservato un miglioramento dei termini di scambio dei paesi esportatori di materie prime. Lo stesso è stato innescato anche dal consumo delle famiglie e dalla ripresa del ciclo industriale in quanto il commercio internazionale dipende ancora fortemente dagli investimenti. Dopo aver registrato un calo del 18% tra luglio 2014 e gennaio 2016, le esportazioni mondiali sono cresciute in termini di valore di oltre il 6% dall’estate 2016. Tale accelerazione risulta per l’84% dalle importazioni dei paesi emergenti e per il 66% unicamente dei paesi asiatici. Certamente quest’aumento delle esportazioni riflette la progressione del prezzo delle materie prime, ma l’aumento in termini di volume è comunque stato del 4%.
Di conseguenza la crescita mondiale ha accelerato. Infatti, i paesi emergenti esportatori di materie prime, rappresentano in media due terzi delle variazioni di crescita dei paesi emergenti che nel loro insieme contribuiscono in ragione dell’80% alla crescita globale dall’inizio del 2008. L’inflazione ha ritrovato ritmi positivi. Negli Stati Uniti è stata del 2.2% ad aprile 2017 contro l’1.3% del 2016. Nella zona euro ha raggiunto l’1.9% contro il -0.2% in aprile 2016. In Cina è ora dell’1.2%.
L’elezione di Donald Trump ha fatto crescere la speranza che il movimento di “reflation“, vale a dire l’accelerazione della crescita e dei prezzi al consumo, sarebbe stato continuativo. L’attuazione del suo programma avrebbe dovuto dinamizzare in modo significativo la crescita mondiale.
Per il momento è stata votata invece unicamente l’abrogazione della legge volta a creare un’assicurazione sanitaria universale a livello federale (Patient Protection and Affordable Care Act) e unicamente la “spesa” del budget è stata presentata dal Presidente americano. Inoltre, come già anticipato nelle nostre precedenti previsioni, è poco probabile che le misure proposte dall’amministrazione Trump siano votate come tali. Esse dovrebbero essere oggetto di negoziazioni con i membri del Partito Repubblicano al congresso. Infine, la valutazione dell’impatto delle misure fiscali è spesso sottostimato in quanto non tiene conto della rimessa in causa delle agevolazioni fiscali. Ad esempio, parallelamente alla diminuzione del tasso d’imposizione della società, è previsto che numerosi crediti d’imposta siano soppressi e in particolare quello che consente la deduzione degli interessi su prestiti dall’utile imponibile. Pertanto l’influenza del programma economico di Donald Trump dovrebbe avere un effetto trainante sulla crescita, positivo ma limitato.
Inoltre, come già anticipato, l’aumento del prezzo dell’energia ha già cominciato a erodere il potere d’acquisto delle famiglie e il profitto delle imprese. L’apprezzamento del 10.6% del tasso di cambio effettivo del dollaro osservato da agosto a dicembre del 2016 ha pesato sulle esportazioni e l’aumento dei tassi a 30 anni dal 2.1% al 3.2% ha ridotto la domanda di alloggi.
L’impennata dei tassi d’interesse e del dollaro si è quindi rapidamente arrestata e la crescita americana è stata dell’1.9% su base annua nel corso del primo trimestre dopo aver accelerato dall’1.5% nel primo semestre 2016 all’1.9% nel secondo semestre 2016. La crescita cinese ha raggiunto il 6.9% nel primo trimestre dopo il 6.7% del primo semestre 2016 e il 6.8% del secondo semestre 2016. La crescita cinese ha quindi contribuito nella misura del 32% alla crescita mondiale mentre quella americana unicamente nella misura del 12% a partire dal 2008.
La crescita economica cinese potrebbe rallentare
L’analisi dei motivi della ripresa della crescita osservata dall’estate scorsa e l’identificazione delle sue cause dimostrano la sua ciclicità e l’importanza dell’aumento del prezzo delle materie prime. Sicuramente la produzione industriale è aumentata in tutto il mondo. In zona euro ad esempio è cresciuta dell’1.2% su base annua nel primo trimestre 2017 contro l’1.4% del 2016. In Cina è aumentata del 7.6% nel primo trimestre 2017 dopo il 6.2% del 2016. Negli Stati Uniti il suo aumento è stato dello 0.7% dopo un calo di -1.2% nel 2016. Tuttavia la ripresa è circoscritta ai settori direttamente legati alle materie prime, all’energia e all’edilizia. D’altro canto, il presidente cinese Xi Jinping ha annunciato una revisione al ribasso del suo obiettivo di crescita che è ora del 6.5%, rispetto alla precedente forchetta tra il 6.5% e il 7%, e ciò dovrebbe comportare un rallentamento della crescita cinese nel secondo semestre 2017. Infine, l’effetto trainante legato alla riduzione delle imposte americane sulla crescita mondiale non dovrebbe verificarsi prima dell’inizio del 2018.
Tuttavia il rallentamento dell’inflazione dovrebbe sostenere nuovamente il potere d’acquisto delle famiglie come l’accelerazione dei salari osservata nella zona euro e negli Stati Uniti. Inoltre i tassi reali saranno più deboli rispetto al 2016, nonostante l’aumento dei tassi di rifinanziamento americani e delle aspettative d’inflazione. I prezzi continueranno a crescere inducendo gli attori economici a confondere l’aumento dei salari e delle cifre d’affari con un aumento del potere d’acquisto e dei profitti. Sarebbero quindi vittime dell’illusione monetaria. Ne risulterebbe un incremento del consumo e dell’investimento a corto termine, nonostante la debolezza della produttività.
L’illusione monetaria potrebbe prolungare la ripresa della crescita
Il miglioramento delle prospettive d’attività e la fiducia delle famiglie potrebbero riattivare l’economia reale se gli attori economici fossero vittime dell’illusione monetaria. Le famiglie utilizzerebbero quindi la moneta per motivi di transazione e non più unicamente per motivi speculativi. Questa ipotesi è assolutamente credibile poiché i valori nominali sono aumentati dopo un periodo di deflazione, ma l’inflazione resta debole. Quando i cambiamenti nominali sono minimi, è meno costoso adeguarsi e adottare un comportamento quasi razionale che cercare informazioni sulle variabili reali (Akerlof e al., 2000).
È possibile che l’investimento privato dei paesi occidentali dia continuità alla politica cinese di crescita degli investimenti in infrastrutture avviata all’inizio del 2016 e sostenga la crescita dei paesi sviluppati in attesa del “Piano Trump”. Infatti, poiché i valori nominali sono recentemente aumentati dopo un periodo di deflazione, gli agenti economici possono essere vittime dell’illusione monetaria come lo sono i responsabili degli acquisti interpellati nel quadro delle inchieste PMI. Tuttavia, non bisogna dimenticare che questa concatenazione è alquanto instabile. Anche Keynes raccomandava di ricorrere preferibilmente alla politica budgettaria rispetto a quella monetaria.
Del resto è quanto deciso dal governo americano ed europeo. Essi approfittano della “reflation” per attuare una politica budgettaria più espansionistica. Il programma di crescita dell’investimento pubblico e privato su 10 anni del Presidente americano è già ben integrato, anche se manca di precisione. Per quanto riguarda l’Europa, la crescita dell’estremismo e l’elezione di Emmanuel Macron a Presidente della Repubblica francese incitano a estendere i programmi d’investimento europei. Inoltre, la volontà di mettere in atto un’Europa della difesa e le dichiarazioni di Donald Trump sulla NATO, faranno probabilmente aumentare rapidamente il budget per la difesa dei quattro grandi paesi europei.
Quindi anche se l’illusione monetaria si basa su fondamenta molto instabili, essa potrebbe sostenere temporaneamente la crescita a seguito dell’aumento della spesa pubblica, a scapito di un ulteriore aumento dell’indebitamento.
Consolidamento e ripresa delle prospettive di crescita economia della zona euro
L’analisi della zona euro presuppone non solo una conoscenza approfondita dei meccanismi istituzionali e dei rapporti di forza amministrativi e politici, ma anche la capacità di considerare i fatti. Dal 2010, i capi di Stato e di governo hanno continuato a rafforzare l’architettura finanziaria della zona euro. Il meccanismo europeo di stabilità che può raccogliere fondi per prestarli agli stati della zona euro in difficoltà, il “two- pack” e il “six-pack” che consentono una sorveglianza a monte più efficace delle politiche budgettarie, l’importanza conferita alle riforme strutturali tramite il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance o ancora il Meccanismo di vigilanza unico che fornisce alla Banca Centrale Europea (BCE) i mezzi per sorvegliare il sistema bancario e finanziario della zona euro, costituiscono delle riforme che dimostrano la determinazione dei governi a salvare l’euro a qualsiasi costo.
Anche i banchieri centrali della zona euro hanno reagito fornendo al sistema bancario liquidità illimitata, lanciando una politica monetaria non convenzionale credibile e applicando tassi negativi ai depositi bancari. La BCE ha così acquisito nuova credibilità. Del resto per la prima volta dalla sua creazione, i tassi d’interesse della zona euro hanno influenzato l’evoluzione dei tassi americani e non viceversa. Di conseguenza, il proseguimento del rafforzamento della politica monetaria americana non dovrebbe comportare un aumento proporzionale dei tassi della zona euro. L’aumento dei tassi Fed funds dovrebbe quindi essere limitato, pena l’impennata del dollaro. La crescita dei crediti dovrebbe continuare a essere dinamica su entrambi i versanti dell’Atlantico.
Parallelamente la Banca centrale Europea ha iniziato una guerra contro le banche della zona euro affinché le stesse risanino i propri bilanci. I crediti in sofferenza stimati a 1000 miliardi di euro per l’insieme delle banche della zona euro limitano i prestiti al settore privato. La detenzione di crediti in sofferenza è quindi una delle ragioni della persistenza della deflazione giapponese. Secondo le nostre previsioni, la risoluzione di questo problema aumenterebbe le prospettive di crescita della zona euro. Ora, dopo aver pubblicato le linee direttrici e chiesto alle banche un censimento dei loro crediti in sofferenza, la BCE si è espressa a favore delle “bad banks” nazionali. L’Associazione delle banche europee (EBA) aveva proposto un istituto di liquidazione europeo. Anche se questa proposta ha suscitato reazioni negative in particolare al di là del Reno, crediamo che possa avere un seguito. Se così fosse, le prospettive di crescita della zona euro potrebbero continuare la ripresa una volta passato l’effetto positivo delle elezioni francesi.
Tuttavia il rincaro dell’euro peserebbe sulle esportazioni nel secondo semestre del 2017. Esso limiterebbe anche le pressioni inflazionistiche, dando margine di manovra alla BCE. I suoi acquisti di titoli dovrebbero quindi proseguire anche dopo dicembre 2017, seppur in misura ridotta. Tuttavia essa ha vincoli tecnici molto diversi da quelli della Federal Reserve. Infatti, il tasso d’interesse versatole sui titoli che detiene è decisamente inferiore a quello della Federal Reserve, ossia dello 0.7% sul suo portafoglio d’obbligazioni governative contro il 3% della Federal Reserve. Ciò significa che una ripresa dei suoi tassi di riferimento comporterebbe una perdita nella misura in cui essa dovrà remunerare i depositi delle banche a un tasso superiore a quello che riceve. Desumiamo pertanto che la BCE cercherà di limitare al massimo la ripresa dei tassi a breve termine e privilegerà l’inclinazione della curva dei tassi d’interesse a lungo termine. Una politica di questo genere limiterà anche il potenziale di apprezzamento dell’euro a inizio del 2018 (per maggiori dettagli confronti le analisi specifiche sulle politiche monetarie e di cambio riportate di seguito).
Un equilibrio economico sempre instabile
Mentre il potenziamento degli investimenti infrastrutturali cinese, l’aumento del prezzo delle materie prime, la ripresa del ciclo industriale a livello globale e l’accelerazione dell’inflazione diminuiscono, la riduzione dei tassi d’interesse reali, la speranza nell’aumento dei salari nominali e la riduzione delle imposte negli Stati Uniti potrebbero evitare un rallentamento della crescita economica mondiale nei prossimi trimestri.
Questa fase di crescita prolungherebbe un ciclo già avviato e non farebbe altro che mascherare l’evoluzione degli aspetti fondamentali, vale a dire la debolezza della produttività e l’incremento del debito a livello globale. Affinché questa fase di crescita non peggiori gli squilibri mondiali, né lo scarto tra la speranza degli attori finanziari e la realtà macroeconomica, bisognerebbe che le politiche economiche attuate negli Stati Uniti e in Cina abbiano un’influenza positiva sulla crescita potenziale di questi paesi.
Infine il vero cambiamento strutturale potrebbe venire dalla zona euro. Essa è riuscita a consolidare la propria architettura finanziaria grazie in particolare all’attuazione di meccanismi di solidarietà finanziaria e al programma di acquisto di titoli (Quantitative Easing). Essa è riuscita anche, passo dopo passo, ad affrontare la questione del risanamento del proprio sistema bancario. La zona euro potrebbe essere il luogo in cui la speranza degli attori finanziari è più misurata rispetto alle evoluzioni strutturali, in particolare in materia di consolidamento dell’architettura finanziaria della moneta unica.