Globalizzazione: questo processo durato decenni sta giungendo al termine. Complici i populismi e le disruption causate dal Covid, oltre alle implicazioni del conflitto in Ucraina, un numero crescente di Paesi ha messo in discussione la propria dipendenza da un numero ridotto di fornitori di beni e materie prime.
L’emergere di un nuovo ordine mondiale è probabilmente alla base di un nuovo ciclo di investimenti, attraverso la riorganizzazione delle catene globali del valore (GVC), l’accelerazione della transizione energetica e l’aumento della spesa per la difesa.
Alcune economie trarranno vantaggio dallo sconvolgimento delle GVC, in particolare quelle in grado di aumentare la quota di mercato o di esportare le risorse naturali necessarie per la transizione energetica.
Tuttavia, poiché le preoccupazioni per la sicurezza – piuttosto che per l’efficienza economica – sono destinate a guidare le decisioni future, c’è il rischio che il nuovo ordine conduca l’economia mondiale verso la stagflazione. Questi cambiamenti rappresentano un aspetto chiave di un nuovo regime di scarsità dell’offerta e di aumenti dei prezzi più frequenti.
Guardando indietro, sembra che i vantaggi della globalizzazione abbiano raggiunto il culmine all’inizio del nuovo millennio e che le crescenti crepe nell’ordine mondiale li stiano scardinando, mentre la Cina sfida sempre più il dominio degli Stati Uniti. Il cambiamento dell’equilibrio geopolitico, determinato dal disaccoppiamento tra Stati Uniti e Cina, ha importanti ripercussioni sul comportamento delle imprese.
Verso un nuovo ordine mondiale post globalizzazione
Le tensioni geopolitiche tra Stati Uniti e Cina sono in aumento da tempo. La deindustrializzazione ha lasciato spazio a una politica economica populista, favorendo la vittoria di Donald Trump nel 2016 e dando il via alla guerra commerciale con la Cina. I timori di un’eccessiva dipendenza da Pechino si sono poi amplificati durante la pandemia di Covid-19, con l’interruzione delle catene di approvvigionamento asiatiche e la conseguente carenza di beni.
Ciò ha indotto molti Paesi a rivalutare la scelta di affidarsi a un piccolo numero di Paesi, e in particolare alla Cina, per la fornitura di beni fondamentali. Ma è la decisione della Russia di invadere l’Ucraina a rivelarsi un momento spartiacque nella creazione di un nuovo ordine mondiale e nella rottura delle GVC. L’invasione è stata peraltro accolta con una reazione rapida e senza precedenti da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati, che hanno imposto severe sanzioni finanziarie ed economiche.
L’impatto economico immediato di queste sanzioni sta iniziando ad attenuarsi con la diminuzione dell’inflazione energetica. Tuttavia, le sanzioni hanno lasciato un segno indelebile nel mondo. Innanzitutto, le aziende sono ora più consapevoli, rispetto a prima della guerra, dei rischi politici e dei costi associati al commercio e agli investimenti diretti esteri (IDE). Inoltre, ciò sembra aver ampliato la frattura tra Stati Uniti e Cina, con il rischio di un disaccoppiamento permanente tra le due maggiori economie mondiali.
Unite dalla sfiducia nelle istituzioni occidentali, Russia e Cina hanno stretto un’alleanza che “non ha limiti”, indicando la possibilità di una cooperazione ad ampio raggio. I due Paesi sono economicamente complementari, in quanto la Russia è alla ricerca di tecnologie più sofisticate, mentre la Cina dipende in larga misura dai prodotti di base. Entrambi sono particolarmente diffidenti nei confronti della Nato.
Un maggior rischio politico comporta la riorganizzazione delle catene globali del valore
Nel frattempo, abbiamo visto nuove politiche protezionistiche prima delle elezioni di mid-term negli Usa, che minacciano seriamente il commercio in settori ad alto valore come i semiconduttori tra Cina e Taiwan e tra Stati Uniti e Cina. Le nuove politiche sono state un ulteriore promemoria della minaccia alle GVC, già messa alla prova dalla Brexit, dai dazi ereditati dall’era Trump e dalla pandemia. Tutti questi eventi, così come i costi della guerra in Ucraina, in futuro influenzeranno con ogni probabilità il comportamento delle multinazionali e gli investimenti diretti esteri. È inoltre probabile che le multinazionali decidano di spostare le attività da Paesi come la Cina verso destinazioni che offrono una maggiore protezione dai rischi geopolitici o dai dazi commerciali.
Deglobalizzazione e nuovo ordine mondiale
Il punto chiave, tuttavia, è che se da un lato si può trarre vantaggio da uno spostamento della produzione globale e da un’accelerazione della transizione energetica, dall’altro la spinta a rendere sicure le catene di approvvigionamento potrebbe avere un impatto negativo sull’economia globale. Infatti, se negli ultimi decenni la globalizzazione ha favorito una crescita più rapida, inflazione e tassi d’interesse più bassi, un’inversione di queste tendenze rischia di portare il mondo alla stagflazione. Molto dipenderà dall’intensità della deglobalizzazione, con differenze marcate nei vari settori.
Quanto più la delocalizzazione delle supply chain è guidata da preoccupazioni di sicurezza piuttosto che dai fondamentali economici, tanto meno ottimale sarà il risultato. Ad esempio, il fenomeno del reshoring, che consiste nel riportare in patria le catene di approvvigionamento, stimolerebbe l’attività nazionale, ma rappresenta chiaramente un arretramento rispetto al modello globalizzato. Se tale trend dovesse affermarsi, le supply chain potrebbero diventare più solide e resistenti agli shock globali, ma a un prezzo, ad esempio a livello di manodopera.
Le prospettive per la globalizzazione
Le disruption causate dall’emergere di un nuovo ordine mondiale beneficeranno alcuni Paesi. Le economie emergenti in grado di attrarre le imprese manifatturiere che lasciano la Cina potrebbero aumentare il loro tasso di crescita potenziale incrementando la quota di mercato, così come le economie che esportano minerali fondamentali per la transizione energetica vedranno aumentare la domanda nei prossimi anni.
Tuttavia, il nuovo ordine mondiale peserà sull’economia globale. La riorganizzazione delle GVC, la transizione energetica e l’aumento delle spese militari avranno un costo molto alto. Nel frattempo, anche le catene di approvvigionamento meno efficienti aumenteranno i costi. Di conseguenza, è probabile che l’inflazione e i tassi di interesse siano strutturalmente più alti, con conseguente rallentamento della crescita.