di Philip Chitty (Capital Group)

Inflazione e materie prime corrono, che fare sul mercato obbligazionario?

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L’allentamento della crisi pandemica è coinciso con una tempesta perfetta in cui abbiamo assistito al calo delle forniture ma forte domanda, che ha portato ad un’accelerazione dell’inflazione.

Le obbligazioni indicizzate o i derivati possono rientrare in una valida strategia d’investimento per attenuare l’impatto di un’inflazione elevata e allo stesso tempo per ottenere un interesse più alto rispetto al tasso fisso. I mandati globali, invece, soprattutto quelli con esposizione a Paesi con tassi d’interesse reali positivi, hanno anche il potenziale per cogliere opportunità di generare extra rendimenti positivi.

In questo contesto fortemente inflazionistico, riteniamo che i mercati finanziari continueranno a scontare un numero considerevole di aumenti dei tassi di interesse statunitensi almeno per i prossimi 12 mesi. Abbiamo assistito a movimenti importanti dei rendimenti dei Treasury USA, che ne sono il riflesso.

Le mosse delle banche centrali all’orizzonte

Se le banche centrali inizieranno a riportare i tassi di interesse reali in territorio positivo, entreremo in una fase più difficile. Per quanto riguarda la Fed, dovremmo assistere a un calo dell’inflazione nella seconda metà dell’anno, soprattutto sulla scia dell’attenuazione dell’inflazione ciclica transitoria.

Mentre la Fed ha un doppio mandato di stabilità dei prezzi e piena occupazione, quello della Bce è la stabilità dei prezzi. Di conseguenza, la Bce è chiamata a rispondere ai picchi di inflazione più di quanto non lo sia la Fed.

Prevediamo un ulteriore aumento dei rendimenti, in attesa di un atteggiamento più aggressivo da parte della Bce. Crediamo anche che nel corso dell’anno la Bce farà uscire i tassi dal territorio negativo e terminerà il suo programma di acquisto di asset. Probabilmente questo si tradurrà in un ulteriore aumento dei rendimenti, che in termini di obbligazioni forse sarà più marcato nell’area euro che negli Stati Uniti.

Le prospettive per i mercati emergenti

Spostando invece l’attenzione sui mercati emergenti, ribadiamo il fatto che, seppur siano considerati come un gruppo omogeneo, è molto importante valutarli singolarmente insieme ai pro e i contro di investire in questi mercati. La recente crisi dei prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari è un buon esempio di quanto questo sia importante. Prendiamo l’Egitto, da un lato, e il Brasile, dall’altro. La solidità dei prezzi delle materie prime è un vantaggio reale per il Brasile, che ne è un esportatore, e il real brasiliano ha registrato una crescita a due cifre da inizio anno.

Al contrario, l’Egitto importa una quantità rilevante di cereali, soprattutto dall’Ucraina e dalla Russia. Il Paese era già in difficoltà a causa della pandemia e dell’assenza dei ricavi del turismo. Le riserve estere nette del Paese sono diminuite di quasi 4 miliardi di dollari, il che ha messo sotto pressione la valuta. Di conseguenza, l’Egitto ha dovuto svalutare il suo tasso di cambio del 15%.

In questo caso, occorre pertanto considerare che probabilmente i rendimenti da partecipazioni in strumenti obbligazionari nei due Paesi saranno sostanzialmente diversi, sottolineando l’importanza di un approccio bottom-up agli investimenti nei mercati emergenti.