L’inflazione Usa, più contenuta del previsto, allevia la pressione sulla Fed e aumenta la nostra fiducia nel fatto che il tasso sui Fed funds venga portato a circa il 5% (o poco sotto) prima che venga fatta una pausa a marzo. I dati di oggi sollevano anche interrogativi sulla misura in cui le previsioni del percorso dei tassi incluse nella SEP (sintesi delle proiezioni economiche) aumenteranno nel 2023, quando le nuove proiezioni saranno pubblicate oggi insieme alla dichiarazione del FOMC. Avevamo indicato che la previsione media per il 2023 sarebbe salita a poco meno del 5% (un aumento di 25 punti base), ma questo rapporto accresce i rischi al ribasso di una tale prospettiva.
A dire il vero, il rapporto di ieri non è stato tutto rose e fiori. Sebbene la tanto attesa moderazione nelle categorie dei beni sia finalmente in atto, l’andamento dell’inflazione di fondo appare ancora incoerente con l’obiettivo della Fed (cioè le categorie più “viscose” sono rimaste tali). Tuttavia, la decelerazione dell’inflazione complessiva, che attenua il rischio di un aumento delle aspettative di inflazione, unita alla nostra opinione che anche il mercato del lavoro si stia indebolendo, rafforza la nostra aspettativa che la Fed probabilmente opterà per una pausa all’inizio del 2023 e che la prossima mossa sarà probabilmente una riduzione.
Dopo il rapporto odierno e la mancanza di evidenze di un sostegno temporaneo ai listini legato all’uragano, abbiamo ridimensionato le nostre previsioni di inflazione per il quarto trimestre 2022 e il primo del prossimo anno, riducendo così le nostre previsioni per la fine del 2023. Prevediamo ora che l’inflazione core CPI si attesti al 3,3% su base annua (a/a) nel 2023 rispetto al 3,7% precedente. Ciò ha ridotto anche la nostra previsione di inflazione core PCE al 2,8% annuo per l’anno 2023, anche se non di molto, dato che i prezzi delle auto usate sono considerati in modo diverso nell’indice PCE.