Le principali banche centrali sono ancora molto preoccupate, e a ragione, per quanto l’inflazione si stia dimostrando resistente alle loro misure, lasciandole di fatto con sempre meno mezzi per vincere la battaglia. Gli ultimi dati suggeriscono che l’inflazione core, ovvero la parte più difficilmente attaccabile attraverso variazioni della politica monetaria, è ancora troppo alta (5,6% a febbraio nell’Euro Zona).
La motivazione per cui questo costituisce il problema principale da affrontare, a detta degli stessi banchieri, è l’elevata correlazione al mercato del lavoro e, soprattutto, agli stipendi, che a loro volta causano la maggiore pressione sui prezzi e le deviazioni sul lato della domanda. Infatti, il mercato del lavoro molto rigido che ha preso forma su entrambe le sponde dell’Atlantico sta sostenendo l’aumento della spesa da parte degli investitori; inoltre, negli Stati Uniti i consumi delle famiglie hanno trovato ulteriore spinta grazie ai risparmi che queste avevano creato durante la pandemia di Covid-19. Anche gli omologhi europei avrebbero attuato un procedimento simile, ma questi cuscinetti sono stati erosi dall’aumento del costo dell’energia. Oltre a questi fattori di rischio endogeni, ve ne sono anche altri esogeni; uno su tutti, la riapertura del mercato cinese, che potrebbe aggiungere ulteriore pressione andando a intaccare al rialzo il prezzo delle commodity.
Fed sotto pressione
Ad oggi, i maggiori indicatori sembrano suggerire che i mercati stiano generalmente prezzando un soft landing dell’economia americana, grazie alla crescita registrata sia nei posti di lavoro, sia della spesa dei consumatori. Tuttavia, ci sono segnali evidenti di come questi trend siano a fine corsa. Il primo elemento a sostegno di ciò arriva dal comparto manifatturiero, che registra un rallentamento per il quarto mese consecutivo, e anche dall’accesso al credito, che sta diventando sempre più difficile, segno che gli enti che elargiscono denaro in prestito stanno tentando di preservare la loro liquidità. Messi assieme, questi indicatori sembrano suggerire un rallentamento dell’economia più brusco di quanto del previsto nel prossimo trimestre. Dall’altro lato, però, è importante capire tra quanto questo rallentamento si materializzerà, in quanto, se il suo arrivo non fosse imminente, la Federal Reserve potrebbe ritrovarsi costretta ad inasprire ulteriormente le sue misure di politica monetaria per combattere l’inflazione. Le nostre analisi sembrano suggerire uno scenario per il prossimo futuro in cui i tassi d’interesse si innalzeranno ulteriormente, raggiungendo il picco attorno al 5,25% – almeno per questo ciclo economico.
Mercati prevedono inflazione sopra al 2% a lungo in Europa
La situazione nell’Eurozona è molto diversa rispetto a quella degli Usa, in quanto non solo il suo tasso d’inflazione core è superiore a quello statunitense, ma sta ancora tendendo al rialzo. Pertanto, riteniamo che questa forbice tenderà ad allargarsi almeno lungo tutto il secondo trimestre. Questo scenario ha portato i mercati a scontare un’inflazione superiore al 2% anche per il medio-lungo termine. Questo è un problema per la credibilità della Banca Centrale Europea, la quale potrebbe essere costretta ad adottare politiche ancora più da falco nelle prossime riunioni, annunciando rialzi dei tassi d’interesse anche ben superiori ai 50 punti base.
Ci sono comunque anche delle buone notizie, provenienti dai prezzi della produzione registrati a gennaio, che si sono attestati su livelli piuttosto rassicuranti, suggerendo che l’inflazione nei beni industriali e nei generi alimentari potrebbe raggiungere il picco nei prossimi mesi. Tuttavia, se si osserva l’inflazione nei servizi – più correlata al discorso salari affrontati in precedenza – allora dobbiamo purtroppo constatare che non si scorgono indicatori che suggeriscano un’inversione di tendenza nel breve periodo. Per quanto riguarda il presente, il ciclo economico che stiamo attraversando si sta rivelando più resiliente del previsto, con i dati che attestano una crescita dell’attività economica anche nel primo trimestre del 2023. Questo ci porta a ritenere che la lotta all’inflazione vedrà un’ulteriore accelerazione e che il livello al 3,5% dei tassi d’interesse diventerà un punto di partenza per la Bce, più che un limite massimo come avevamo inizialmente preventivato.