Investimenti, su mercati e risparmiatori aleggia lo spettro del rischio geopolitico
Negli ultimi due secoli la libertà di movimento di capitali, merci e persone ha avuto un andamento simile a quello delle maree, moti ondosi di innalzamento degli scambi e della cooperazione seguiti da fasi di arretramento. La globalizzazione non è un fenomeno nuovo, la prima ondata fu quella attuata dall’antica Roma, cominciata con la realizzazione delle prime strade nel III secolo a. C. e fondata sulla forza economica e militare.
Il nuovo arretramento della marea coincide con la nuova fase di deglobalizzazione che sembra annunciarsi: l’ordine globale smette di convergere e anzi si frantuma, gli antagonismi tra paesi o blocchi di paesi prevaricano sulla cooperazione e il risultato di isolamenti sospettosi saranno nuove forme di inefficienza e maggiori costi.
Nel corso del 2021 l’inflazione negli Stati Uniti è balzata in un tempo rapidissimo a livelli non più visti negli ultimi quarant’anni sulla spinta di tre fattori eccezionali e temporanei: le misure di sostegno a consumatori e piccole attività, la carenza di manodopera, con molti lavoratori a casa per paura dei contagi o costretti dalle chiusure delle scuole e, potentissima terza forza, la sorprendente ripresa della domanda che ha trovato impreparata l’offerta.
Una “supply-side inflation” che è la vera protagonista della scena economica. La settimana scorsa i verbali dell’ultima riunione del Board della Federal Reserve hanno confermato le preoccupazioni dei banchieri centrali e l’intenzione a procedere con decisione, sia con l’aumento dei tassi, senza escludere singoli interventi di 50 punti base, sia con la riduzione del bilancio.
Quest’ultima manovra dovrebbe favorire l’aumento dei tassi di interesse a lungo termine e affrettare il recupero del terreno dall’attuale posizione di “dietro la curva” della banca centrale americana. In condizioni normali l’aumento dei tassi tende ad appiattire la struttura delle scadenze alzandone la parte a breve, ma queste non sono condizioni normali, il ciclo di rialzo dei tassi coincide con una curva che è già piatta a causa dei massicci acquisti di titoli da parte della Federal Reserve.
La guerra sconquassa ogni cosa, vite, destini, prospettive: il costo delle materie prime e il rallentamento degli scambi commerciali costituiscono i due maggiori ostacoli alla crescita globale.
Il rallentamento riguarda anche la Cina. La guerra in Ucraina e i contagi della variante Omicron costituiscono due imprevedibili minacce ai piani del governo fondati sui tre pilastri della crescita, della sconfitta del Covid, della competizione-sfida con gli Stati Uniti.
La lotta al Covid perseguita con ostinata durezza sta registrando forti contraccolpi, il lockdown imposto alla popolazione di Shanghai costituisce un ulteriore inciampo al funzionamento delle catene della fornitura e le proteste dei cittadini sono un colpo inatteso all’autorità del governo e dello stesso Xi Jinping. Per la leadership politica cinese, l’avanzamento e lo sviluppo sono indispensabili eppure anche la Cina, come l’Europa, fronteggia il probabile il rallentamento strutturale a causa della sfavorevole struttura demografica.
Con uno scenario estremamente incerto, la sfida principale è la protezione del capitale contro l’inflazione e l’evidenza storica mostra che uno dei modi migliori per generare rendimenti reali è l’investimento azionario, in particolare nei settori che possono esercitare un potere di prezzo come i beni di consumo discrezionali e la tecnologia.
Tuttavia, nel 2022 gli investitori hanno assistito anche al ritorno del rischio politico, fino ad oggi considerato e valutato solo in relazione ai paesi emergenti. Non i governi e le leadership politiche ma i banchieri centrali sono stati i protagonisti negli ultimi decenni. Oggi invece, per la prima volta dalla fine della Guerra Fredda, i risparmiatori dovranno tener conto anche della geopolitica nelle loro valutazioni di investimento.