Nonostante il virus abbia avuto origine in Cina l’economia dell’ex Celeste Impero è stata a malapena intaccata dalla crisi nel 2020 e la sua espansione ora sembra inarrestabile rispetto alle economie avanzate affaticate sotto il peso di numerosi casi, deboli risposte ai lockdown e tassi di vaccinazione lenti.
Anche i mercati azionari cinesi hanno registrato un rendimento inatteso, con l’indice MSCI China (HKD) in rialzo nel 2020 di oltre il 26%. Sebbene l’ascesa della Cina non suoni come una novità, è possibile che il 2020 sia anche stato l’anno in cui questo processo ha innestato una marcia superiore.
La polemica probabilmente infurierà per anni su come la Cina sia stata in grado di sopprimere così rapidamente il virus di cui si hanno avuto le prime tracce a Wuhan.
Ma resta un dato tanto quanto che l’economia si sia ripresa rapidamente. Chi dubita delle statistiche ufficiali può guardare ai ricavi operativi del business cinese di aziende occidentali: è evidente un notevole rimbalzo di attività dalla primavera.
Allo stesso modo, il World Economic Outlook di ottobre del Fondo monetario internazionale (FMI) mostra una crescita attesa del PIL cinese dell’1,9% per il 2020 contro quella del -3,3% dei mercati emergenti e del -4,3%, -8,1% e -8,3% per gli Stati Uniti, l’America Latina e l’Eurozona, rispettivamente.
Per il 2021, il FMI prevede che l’economia cinese crescerà di oltre il 6%, lasciando indietro le cosiddette economie avanzate. Poiché i ricavi delle società riflettono generalmente (ma non totalmente) la crescita sottostante dell’economia, questa performance fornisce un supporto fondamentale per il futuro dei mercati azionari cinesi.
Tuttavia, l’attrazione delle azioni cinesi va oltre questi dati. Riguarda infatti anche la loro sottorappresentazione negli indici mondiali rispetto all’entità della rispettiva economia. Alla fine del 2020, la Cina occupava poco più del 5% dell’indice MSCI AC World nonostante la sua economia fosse oltre il 17% del totale globale.
La strutturazione dei benchmark è opera dei comitati all’interno dei fornitori di indici e tali comitati eventualmente devono riflettere la crescente capitalizzazione di mercato man mano che cresce l’interesse degli investitori, come nel caso cinese.
Questo di per sé è probabilmente uno dei motivi più convincenti per detenere azioni cinesi nel tempo. Il fatto che la seconda economia mondiale sia rappresentata da circa il 5% del principale indice azionario globale seguito da milioni di istituzioni di investimento e investitori al dettaglio è un’evidente anomalia.
Al contrario, gli Stati Uniti godono di un peso vicino al 60% nell’indice MSCI AC World nonostante costituiscano poco meno di un quarto dell’economia mondiale. Certo, il settore tecnologico degli Stati Uniti è un fattore chiave (e degno), ma anche la Cina ha i suoi leader di innovazione nella tecnologia e nella finanza. Una strategia perfettamente legittima sarebbe semplicemente esprimere un “sovrappeso” alla Cina in quanto è atteso per i prossimi anni un processo di riconoscimento su vasta scala.
La selezione attiva offre l’opportunità di evitare alcune delle insidie associate agli investimenti nei mercati emergenti o in Cina, tra cui la mancanza di trasparenza in termini di governance aziendale e la minaccia sempre presente di un intervento del governo nella gestione aziendale. Due esempi sono il recente fallimento dell’IPO di Ant Group e le preoccupazioni normative espresse pubblicamente sul presunto status di monopolio di Alibaba. Sono da tenere in considerazione anche le tensioni con gli Stati Uniti e l’Europa.
La Borsa di New York ha recentemente deciso di invertire la rotta e delistare tre giganti cinesi delle telecomunicazioni segnalati dal Tesoro degli Stati Uniti. Un accordo di investimento tra la Cina e l’Europa ha ricordato a tutti che trattare con la Cina sarà complicato.
Nella sua dichiarazione sull’accordo – e con grande sgomento dei cinesi – l’Unione Europea ha parlato freddamente di “Cina come partner, Cina come concorrente e Cina come rivale sistemico”. Tutti questi fattori suggeriscono volatilità, sconvolgimenti e sorprese per gli investitori in società cinesi che operano sia a livello nazionale che in tutto il mondo.
Ma se il motivo intrinseco per investire nelle azioni cinesi si basa sulla crescita della sua economia e sulla sottorappresentazione dei suoi mercati dei capitali rispetto alle dimensioni di tale economia, molti investitori potrebbero pensare semplicemente di detenere più azioni cinesi dell’MSCI AC World per battere l’indice e mantenere la struttura di quel sovrappeso. Ciò potrebbe ridurre le cose a una semplice esposizione all’indice dell’MSCI China, rappresentata da A share onshore, H share quotate a Hong Kong, e American Depositary Receipts (ADR) quotate negli Stati Uniti. Ma la concentrazione di azioni in quell’indice è alta, con i primi 10 titoli che rappresentano il 50% grazie a grandi nomi come Alibaba e Tencent.
Un’alternativa potrebbe essere quella di concentrarsi solo sulle A share trattate sulle piazze di Shanghai e Shenzhen, ma accessibili agli investitori internazionali attraverso lo “Stock Connect”. Ciò porterebbe meno concentrazione e sarebbe la promessa di un’esposizione all’area dell’universo azionario cinese più scambiata dagli investitori retail cinesi (essi stessi destinati a crescere man mano che i gestori patrimoniali stranieri inizieranno a prendere piede nel Paese).
C’è un bacino di opportunità per gli investitori che mantengono un sovrappeso strutturale ai suoi mercati azionari superiore alla scarsa allocazione definita dall’indice MSCI AC World. La volatilità e gli shock relativi a specifici titoli saranno correlati ai crescenti problemi del mercato cinese. Ma sia che gli investitori optino per la selezione attiva dei titoli, le A share onshore o semplicemente lo stesso indice MSCI China, il più grande driver di rendimento nel tempo sarà sicuramente la decisione iniziale dall’alto verso il basso di investire in modo più aggressivo in questo mercato prima che la Cina guadagni il posto che le spetta sia nell’economia mondiale che nei mercati dei capitali.