La durata del ciclo economico? Una domanda che va riformulata, ancora una volta
Poco importa quanto durerà il ciclo: non sarà mai troppo presto per focalizzarsi sulla qualità e operare una selezione rigorosa degli emittenti nel credito.
In questo momento quasi tutti gli investitori si stanno ponendo il medesimo interrogativo: quanto ancora può durare questo ciclo del credito?
Difficile dire se le dichiarazioni della Fed della settimana scorsa ci abbiano fornito qualche indizio in più. La decisione di non usare il termine “accomodante” per descrivere le condizioni attuali non è passata inosservata ed è stato anche possibile dare una prima occhiata anche al dot plot della banca centrale per il 2021. Ma siccome il termine era solo una sfumatura e i dot troppo dispersi, alla fine l’impressione è stata quella di una previsione di atterraggio morbido di qui a due anni. I mercati hanno reagito in modo contrastante.
La domanda quindi è tutt’altro che risolta. Non potrebbe essere diversamente, visto che se si va avanti così, tra pochi mesi il ciclo attuale diventerà il più lungo della storia.
Ma forse la domanda è mal posta. Invece di chiederci quando finirà il ciclo, dovremmo forse preoccuparci delle caratteristiche che presenterà quando arriverà al capolinea e domandarci se per caso stiamo assistendo a mercati i cui prezzi ne presumono la prosecuzione ad infinitum.
Un simile approccio perlomeno ci consente di iniziare a prepararci per alcuni degli esiti più probabili.
Eterni ottimisti
Partiamo dalla seconda domanda. Quali mercati ci chiedono di essere eterni ottimisti?
A nostro avviso, l’high-yield con rating CCC rientra in questa categoria. Da tempo sosteniamo anche che il massiccio riorientamento delle emissioni high-yield, dal mercato obbligazionario a quello dei prestiti bancari, ha significativamente eroso cedole, covenant, qualità creditizia e seniority nei prestiti. Quindi aggiungiamo anche questo elemento all’elenco.
Se consideriamo il clima spensierato che si respira nel segmento dei loan, non stupisce trovare anche il private equity in preda all’esuberanza di fine ciclo. Sono tornati i mega deal, i multipli sono ai massimi pluriennali e non è raro vedere rapporti di indebitamento di sette a uno. In occasione di una conferenza, David Rubenstein, cofondatore di Carlyle Group, ha dichiarato che nella sua carriera trentennale non gli era mai accaduto di riuscire a trovare finanziamenti così facilmente come adesso.
È opportuno mantenere una disciplina rigorosa anche in alcuni segmenti dell’investment grade. Il segmento BBB si è gonfiato a dismisura e sebbene sia probabile che l’assegnazione di tale rating sia eccessivamente severa per molte società del settore finanziario e delle utility, è anche vero che ve ne sono diverse, nei tradizionali settori difensivi della salute, dell’industria farmaceutica, dei consumi e dei media/operatori via cavo, che rischiano un downgrade dopo aver messo a dura prova le proprie finanze per le operazioni di acquisizione.
Sono mercati problematici, questi? Secondo noi sì, e il motivo sta nella risposta alla prima domanda: come sarà la fine di questo ciclo? Affrontiamo questo tema nell’ultimo Fixed Income Investment Outlook.
Inversione a V o inversione a U?
Dagli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, abbiamo osservato inversioni a V nei cicli economici, come un passaggio del PIL dal 4% al -3% e poi di nuovo ai livelli precedenti, il tutto nel giro di sei trimestri. La ripresa dalla crisi finanziaria del 2007-09 è stata più lenta, ma ha seguito lo stesso schema.
Un’inversione a V dipende da una robusta risposta monetaria e fiscale in presenza di un rallentamento. In questo ciclo, però, è improbabile che la Fed attenda, com’era solita fare in passato, di superare la soglia del 5% per iniziare a tagliare i tassi. Inoltre, le strategie adottate post-crisi avranno perso in parte la capacità di produrre un’onda d’urto. Negli USA sono già stati deliberati stimoli fiscali per oltre 1.500 miliardi di dollari, quest’anno. Aggiungerne altri durante la prossima crisi, sarebbe problematico e potrebbe anche non produrre gli effetti desiderati.
Lo stato compromesso di queste due leve politiche ci induce a ritenere che la prossima inversione sarà probabilmente a U anziché a V. E che una prolungata assenza di crescita sarebbe fonte di estreme difficoltà per i mercati dove abbiamo rilevato degli eccessi.
Eccessi
Il fatto è, tuttavia, che quegli eccessi li abbiamo già individuati. In alcuni cicli, tenere alcuni asset con beta elevato, per sfruttare fino in fondo il potenziale di rialzo rimanente, è stato redditizio. Stavolta, però, il potenziale di rialzo di questi mercati surriscaldati sembra impalpabilmente modesto.
In altre parole, poco importa quando si pensa che il ciclo finirà: per chi investe nel credito non è troppo presto per iniziare a valutare un riposizionamento in senso qualitativo, utilizzando criteri più rigorosi nella selezione dei titoli. A chi detiene un portafoglio obbligazionario multi-settoriale, consiglio vivamente di non lasciarsi andare alla tentazione di tuffarsi anima e corpo nel rimbalzo dei mercati emergenti o nello scioglimento dell’high-yield e di continuare a preferire un approccio estremamente diversificato in tutti i mercati e in tutte le regioni.
Quanto ancora durerà questo ciclo? Non saprei, ma di sicuro non per sempre.