Il primo trimestre di quest’anno è stato molto fluido e ricco di spunti. Uno dei movimenti più interessanti è senza dubbio quello dei tassi sulle obbligazioni governative statunitensi a lungo termine. Il tasso di interesse sui titoli di stato a 10 anni è aumentato costantemente nel corso del trimestre. A inizio gennaio era dello 0,91%, ha chiuso il trimestre all’1,74%.
Un movimento così netto non è stato sicuramente ideale per la parte obbligazionaria dei portafogli (i quali in generale hanno performato positivamente, trainati dalla componente azionaria). Se volessimo trovare una lettura positiva, l’aumento dei rendimenti obbligazionari è il sintomo di una considerevole ripresa economica nel 2021.
Molti indicatori, sia nell’industria sia nei servizi, hanno già cominciato a dare segnali forti in questo senso. L’aspetto problematico è sicuramente la possibilità di vedere un aumento dell’inflazione, ma come abbiamo già avuto modo di dire, non ci aspettiamo di vedere un’accelerazione talmente sostenuta da costringere le banche centrali a una stretta monetaria.
Il secondo tema che ha caratterizzato il trimestre è la rotazione azionaria, un movimento che avevamo in qualche modo anticipato già alla fine dello scorso anno. Abbiamo visto gli investitori spostare la loro attenzione dai cosiddetti titoli growth ai titoli value, aziende che hanno sofferto lo scorso anno le cui prospettive potrebbero migliorare con l’accelerazione dell’economia globale. Nel 2020, il principale indice growth ha sovraperformato la sua controparte value di circa il 35%.
Nel primo trimestre di quest’anno, value ha battuto growth di oltre il 9,5%.
In terzo luogo, gli investitori rimangono affascinati dalle aziende e dalle tecnologie dirompenti. Le criptovalute e le cosiddette SPAC (Special Purpose Acquisition Company) continuano a suscitare un notevole interesse. Enormi flussi di investimento continuano a confluire in investimenti “sostenibili”. Questa rincorsa verso l’innovazione sta condizionando anche la direzione delle politiche. Ad esempio, l’amministrazione statunitense è già stata piuttosto attiva sul fronte fiscale, avanzando proposte per aumentare le aliquote dell’imposta sui profitti delle aziende e introducendo un’aliquota fiscale globale minima per ridurre l’elusione fiscale da parte delle multinazionali.
Quarto: abbiamo ricordato i potenziali colli di bottiglia nell’economia globale. Il blocco del Canale di Suez da parte della nave portacontainer Ever Given ha ricordato in modo suggestivo quanto ancora le catene del valore mondiali dipendano da pochi snodi cruciali.
Quinto, l’ascesa della Cina continua. Il governo cinese è diventato sempre più attivo nella sua diplomazia e le sue relazioni con gli Stati Uniti sembrano piuttosto gelide. Dal punto di vista economico vediamo invece il dragone andare in controtendenza. Mentre il resto del mondo sta cercando di accelerare la crescita, le autorità cinesi sembrano frenarla, cercando di limitare il livello di leva di un’economia che resta fortemente dipendente dal credito. Con la ripresa economica in Cina più avanzata che altrove, questo potrebbe rivelarsi un processo decisionale efficace.
Sesto punto, la Brexit. Inevitabilmente, con l’economia bloccata dal Covid-19 è difficile ottenere un quadro completo delle effettive conseguenze dell’uscita del Regno Unito dall’Ue, un banco di prova non solo per quanto riguarda il futuro di quella che resta la quinta economia globale, ma anche per la solidità del progetto europeo (che risulterebbe sicuramente indebolito se, oltre a una migliore gestione del piano vaccinale, il Regno unito centrasse anche la ripresa economica in modo efficace). I primi segnali non sembrano particolarmente buoni per le future relazioni Regno Unito-Ue.
Infine, sul fronte sanitario il lancio della campagna vaccinale è stato agrodolce. Gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno mostrato alcuni notevoli successi, un netto miglioramento rispetto alle loro prestazioni pandemiche del 2020.
L’Ue, in particolare, è rimasta indietro e le disparità nella diffusione dei vaccini a livello globale rimangono una fonte di preoccupazione, non solo per i possibili effetti della pandemia nei paesi rimasti indietro ma, soprattutto, perché continuano ad emergere nuove varianti.
Come tradurre queste evidenze in una visione coerente per il resto del 2021 e oltre? Nel complesso rimaniamo cautamente ottimisti. Riteniamo che gli asset rischiosi resisteranno bene nel 2021 e restiamo convinti della preferenza espressa per le azioni value nei portafogli ad alto rischio (esposizione che abbiamo rafforzato nel ribilanciamento che ha aperto il trimestre corrente). Lo stato della ripresa globale resta la chiave di questa visione.
L’attività economica sta riprendendo e il processo di vaccinazione procede, anche se in modo diseguale.
La direzione politica resta quella giusta. Le banche centrali non sembrano interessate a cambiare le proprie posizioni, anche se i mercati finanziari si aspettano un’azione già dal prossimo anno. Sul versante fiscale, il messaggio sembra forse ancora più “progressista” di quanto ci saremmo potuti aspettare, in particolare negli Stati Uniti, anche se i risultati rimangono tutt’altro che certi.
L’inflazione rimane una preoccupazione, ma non prevediamo un’accelerazione sostenuta.
Riconosciamo i potenziali rischi sia geopolitici (relazioni Usa-Cina), sia sanitari (una nuova ondata di casi) e continueremo a monitorare.
Abbiamo deciso, tuttavia, di aumentare il livello di rischio dei portafogli, convinti che questo ci aiuterà a cogliere importanti opportunità di rendimento nel lungo termine. Continuiamo a guardare avanti, analizzando tutti i nuovi trend che caratterizzano l’economia mondiale.